IL MONASTERO DI SAN VINCENZO MARTIRE

Nel 1941 la chiesa di san Vincenzo, da anni in stato di abbandono, con un piccolo casolare annesso sulla facciata destra della chiesa e dei ruderi alla sinistra fu donata dal principe Innocenzo Odescalchi all'abate Luigi Merluzzi, procuratore generale e rappresentante legale della Congregazione Silvestrina. Detta chiesa fu fatta costruire intorno al 1631 dal marchese Vincenzo Giustiniani e dedicata al martire spagnolo san Vincenzo. Doveva essere, nell'intenzione del colto mecenate, il centro di un borgo e la chiesa mausoleo della sua illustre famiglia. Il progetto della chiesa è quasi sicuramente opera del Maderno, l'architetto che aveva già lavorato a S. Pietro. Arrivati i primi monaci si adoperarono per rendere agibile la stessa chiesa e le camere annesse. Iniziarono con la riparazione dei ruderi e subito dopo l'edificazione delle nuove strutture.
Inaugurata e consacrata nel 1645, fu dotata del giubileo perpetuo e dell’altare privilegiato con Breve del 17.X.1648, dal Papa Innocenzo X Pamphili. Privilegio ben raro al tempo fu quello concesso dal Pontefice di potervi lucrare l’indulgenza plenaria per tutto l’ottavario dei defunti nel mese di novembre di ogni anno.
Una storica visione del tempio l’ha così descritta: Agile e svettante, tricuspide e armonioso, degno sacrario dei resti mortali dei Giustiniani, sito su un colle sorgente fra i due laghi di Bracciano e di Vico, balcone naturale sulla estesa pianura in digradante declivio sino a lontano Tevere. Nella mente di Vincenzo Giustiniani il mausoleo doveva sorgere al centro di un ambizioso piano edilizio il cosidetto Villaggio Giustiniano. Grande benefattore del popolo bassanese, decise inoltre nel suo testamento che a custodia del tempio vi dimorassero tre cappellani, da lui stipendiati, incaricati dell’istruzione della gioventù del contado, al fine di insegnare la Dottrina Cristiana, di leggere, di scrivere e di far abbaco a chiunque vorrà da loro imparare… si insegnerà anco la Grammatica. La tradizione educativa instaurata dai Giustiniani e interrotta con la vendita del feudo di Bassano ai Principi Odescalchi nel 1854, fu ripresa felicemente e portata a livelli lusinghieri dall’intraprendente figura del monaco Don Ildebrando Gregori, Abate Generale dell’Ordine dei Benedettini Silvestrini.
Nel 1805 Papa Pio VII, al suo rientro dall’incoronazione dell’imperatore Napoleone, fu ospite dei Giustiniani e, impressionato dal culto del popolo bassanese per i propri trapassati, aggiunse agli otto giorni di suffragi un ulteriore triduo, prorogando l’ottavario sino all’11 novembre a maggiore vantaggio e comodità della popolazione circonvicina.
E’ il famoso Perdono, che tra i devoti più distinti, provenienti dai paesi limitrofi, ha visto nel 1683 anche la Venerabile Mariangela Virgili, terziaria carmelitana di Ronciglione.  Il 12 settembre 1819 la Chiesa fu visitata ufficialmente da Mons. Basilici, in occasione della sua dedicazione. I Padri Silvestrini così narrano l’evento: La chiesa nasce dall' idea del marchese Vincenzo Giustiniani, di creare sull'assolato colle che dominava il paese di Bassano di Sutri una grande chiesa, una basilica gentilizia, da farne un mausoleo di famiglia. E' stata consacrata dal Vescovo di Nepi - Sutri Mons. Anselmo Basilici il 12 settembre 1819. Questo importante avvenimento è ricordato da una lapide marmorea sulla quale leggiamo: D.O.M. QUOD AD HOC MAGNIFICUM INNOCENTII X VISITAZIONE ILLUSTRI TEMPLUM COMPLENDUM SUPERERAT STUDIUM VINCENTII PRINCIPIS ET ANSELMI EPI. SUTRI ET NEPESINI ACTUOSA SOLLECITUDO CONSACRAZIONE PERFECIT PRIDIE IDUS SEPTEMBRIS MDCCCXIX”
Nel 1941 gli Odescalchi gli donarono i ruderi dei due fabbricati che sorgevano ai lati della chiesa, anch’essa in stato di completo abbandono e rovina. Il dinamico Abate l’accettò, nonostante avessero rifiutato la donazione ìmportanti personaggi del calibro di Don Orione e di Don Calabria: principale motivo la mancanza di acqua corrente. Non si scoraggiò l’intrepido abate e in risposta ai segni dei tempi funestati dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale, ideò e mise in atto il titanico disegno di creare sul colle una grandiosa struttura monastica, capace di ospitare oltre 600 ragazzi provenienti da famiglie sinistrate dalla guerra da ogni parte d’Italia, offrendo loro vitto, alloggio e istruzione. Dall’iniziale accoglienza in baracche si passò presto alla messa in opera di strutture in muratura. Si aprì un enorme cantiere, con ricaduta benefica anche sulla manodopera e maestranza bassanesi. Dai tempi dei primi Giustiniani non si era vista un’opera di così enormi proporzioni.
Nel 1945, il 25 novembre, la vigilia della festa del nostro fondatore S. Silvestro, fecero ingresso i primi 4 ragazzi raccolti dall'abate Ildebrando Gregori perché privati dalla guerra di ogni affetto famigliare e di ogni sostentamento. L'evento segnò l'inizio di un'attività che nello spazio di pochi anni raggiungerà proporzioni davvero notevoli. Sorgevano con ritmo incessante nuovi edifici per le pressanti richieste di accoglienza della gioventù abbandonata, i figli della guerra, i figli degli emigrati all'estero, i figli dei carcerati e tutti quelli che si trovavano in stato di abbandono.
Nel 1950 San Vincenzo era già un paese, quasi in concorrenza numerica con Bassano. Tra scolari, monaci, professori, operai, personale di servizio e addetti alla florida azienda agricola si potevano contare oltre mille persone, tutti abitanti sul colle. Continuò ininterrotta l’opera sino ai primi anni ottanta, dismessa per la diminuzione e scomparsa dell’emergenza scolare. Bassano, allora modesto paesino dell’entroterra viterbese, deposto nel 1964 l’appellativo di Sutri e assunto quello di Romano, si impose all’ ammirazione nazionale per il suo vasto apparato scolastico, incentrato nel monastero: medie superiori, professionale, linguistico, agraria e l’istituto tecnico industriale a specializzazione elettronica. Cessata la gestione delle scuole, i monaci hanno ora intrapreso attività alternative a più vasto raggio, di contenuto più specificamente spirituale.
Verso la metà degli anni settanta l'Istituto San Vincenzo accoglieva oltre 650 ragazzi inseriti in scuole di specializzazione e preparati nel modo migliore ad affrontare la vita. Gli istituti di accoglienza per minori subirono un rapido declino fino alla chiusura totale verso la fine degli anni settanta. Per molto tempo il Monastero San Vincenzo è rimasto quasi inattivo in attesa di scrutare le nuove necessità. Dal 1983 è iniziata una progressiva ristrutturazione, facilitata da una munifica donazione dei coniugi Gabriella Montenero e Giulio Sansoni e che ha portato alla realizzazione di una vasta ed attrezzata foresteria.
Dal 1979 la chiesa è divenuta Santuario del Santo Volto, devozione diffusa dall’Abate Ildebrando Gregori, a lui trasmessa dalla sua figlia spirituale la Beata Maria Pierina De Micheli, suora delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires, morta in concetto di santità nel 1945 e beatificata il 30 maggio 2010.
Lo spettro delle attività dei monaci oggi si svolge, in sintonia con i tempi nel campo della telematica, per rispondere alle esigenze di natura culturale, religiosa e liturgica del popolo. I suoi vasti locali offrono ora ricettività a convegni, attività di gruppi giovanili, associazioni di volontariato, ecc. La vastità del complesso monastico costituisce un caldo invito a giovani e meno giovani ad usufruire dei suoi spazi, ammantati di verde, per riflettere e ritrovare se stessi, per leggersi nell’intimo e riprendere un deciso cammino verso la salvezza
Nella Chiesa di S.Vincenzo in una nicchia laterale è presente la prima versione del Cristo di Santa Maria sopra Minerva eseguita da Michelangelo e rimasta incompiuta a causa di un difetto nel marmo, una macchia sul viso emersa durante la esecuzione. I risultati della ricerca, vagliata da un comitato di esperti di Michelangelo, sono pubblicati su The Burlington Magazine, dicembre 2000. In un filmato le autrici della scoperta, Silvia Danesi Squarzina e Irene Baldriga, spiegano perché la statua rintracciata in una chiesa di Bassano Romano è del grande maestro toscano e come arrivò nella collezione Giustiniani. (A cura di: kwArt & kwBroadcast - vai al filmato della scoperta del Cristo Portacroce di Bassano Romano ).
A questo punto, in conclusione, non possiamo non spingere uno sguardo ancora più indietro nel tempo, quando nel XVII secolo il Marchese Giustiniani, oltre che far costruire proprio in questa brulla collina il mausoleo della propria famiglia, e abbellendola con una magnifica statua di adornare il Mausoleo della sua famiglia da una statua di Michelangelo, aveva compiuto un atto estremamente “moderno” e progressista. Infatti inserì nel suo testamento, assegnando anche un reddito testamentario affinchè in questo luogo “…li preti potessero insegnare d’abbaco e di scrivere ai giovani del luogo che ne avessero volontà”. Come nel 1941, nel pieno di una guerra mondiale, quando il mondo stava andando in pezzi, proprio in questo luogo venne gettato il seme di una rinascita sociale e culturale, oggi, nel 2021, celebriamo la ripresa di questo percorso, insieme a tutte quelle persone che ci hanno aiutato e creduto.

Il Monastero di San Vincenzo è entrato a far parte delle 20 tappe giubilari dei Miliarium della Romea strata . Un cammino di fede per i pellegrini che nasce in Estonia e, attraversando i Paesi del centro Europa, arriva fino a Roma, il centro del culto della religione cristiano-cattolica.  


IL CRISTO GIUSTINIANI
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Cristo redentore - Michelangelo Buonarroti

La monumentale statua rappresentante Cristo risorto con la croce, pubblicata per la prima volta da DANESI SQUARZINA [1998a], p. 112, fig. 54, è stata identificata da BALDRIGA [2000a] come la prima versione del Cristo commissionato nel 1514 a Michelangelo da Metello Vari per la chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva a Roma. A causa di una vena nera rivelatasi sul volto del Cristo durante la lavorazione ("... reuscendo nel viso un pelo nero hover linea…", GOTTI [1875], vol. I, p. 143), lo scultore fu costretto ad abbandonare il marmo per poi donarlo, qualche tempo dopo, allo stesso Vari che lo collocò nel giardino della propria residenza romana dichiarando di conservarla "come suo grandissimo onore, come fosse d'oro". È qui che, alla metà del Cinquecento, ne testimonia ancora la presenza l'erudito Ulisse Aldrovandi che la descrive con queste parole: "In una corticella overo orticello, vedesi un Christo ignudo con la Croce al lato destro no[n] fornito per rispetto d'una vena che si scoperse nel marmo della faccia, opera di Michel Angelo, & lo donò à M. Metello, & l'altro simile à questo, che hora è nella Minerva lo fece far à suo spese M. Metello al detto Michel Angelo" (ALDROVANDI [1562, ed. 1975], p. 247). Dell'opera si perde ogni traccia documentaria fino al 1607, quando alcune lettere inviate da Roma da Francesco Buonarroti a Michelangelo il Giovane ne segnalano la presenza sul mercato dell'arte ("... il Signor Passignano [...] vuole ch'io vadia a vedere una borza di marmo di mano di Michelangelo del Cristo della Minerva dello stesso, ma in diversa positura, et a lui gli piace, e crede che il prezzo sarà poco più che la valuta dello stesso marmo, la figura come sapete è grande al naturale..."; vedi SEBREGONDI FIORENTINI [1986]). L'opera viene descritta come "una borza di marmo" e paragonata, per il suo stato di incompiutezza, ai Prigioni ed al S. Matteo di Firenze. Di fronte al prezzo elevato richiesto dall'ignoto venditore (300 scudi), Francesco Buonarroti rinuncia all'acquisto dopo essersi consigliato con Ludovico Cigoli e con il Passignano. Le lettere del 1607 assumono nel contesto della presente attribuzione un'importanza essenziale poiché, oltre ad informarci della possibilità di acquistare il marmo michelangiolesco in questi anni, aggiungono due notizie cruciali per la sua identificazione: il fatto che la prima versione presentasse una "diversa positura" rispetto al Cristo oggi visibile nella Chiesa della Minerva, ed il fatto, peraltro già implicito nella descrizione dell'Aldrovandi, che Michelangelo aveva abbandonato il blocco ad uno stato di lavorazione piuttosto avanzato o comunque tale per cui la figura della statua era già ben delineata. A tutto ciò va aggiunto il fatto che negli stessi anni in cui l'opera risulta in vendita i Giustiniani andavano costituendo la loro collezione di statue antiche e moderne e che per il tramite del Passignano, molto legato alla famiglia, avrebbero potuto acquistarla con facilità. Volendo inoltre considerare l'ipotesi che al momento della vendita la statua sia rimasta nel giardino del Vari, ovvero a pochi passi dalla chiesa della Minerva, vi sono altri elementi a conferma dell'ipotesi qui esposta (su questo vedi, soprattutto, DANESI SQUARZINA [2000b]). Innanzitutto, vi è un dato puramente topografico: palazzo Giustiniani si trova proprio nei pressi del convento domenicano della Minerva e il trasporto della statua sarebbe stato piuttosto agevole. Ma ben più rilevante è il fatto che nei confronti della Minerva la famiglia Giustiniani aveva un rapporto molto stretto, che risaliva già al cardinale Vincenzo, zio di Benedetto e del marchese Vincenzo, e che si era poi protratto con lo stesso Benedetto. Quest'ultimo oltretutto dispose numerosi lasciti in favore della Confraternita della SS. Annunziata, tra le cui carte è registrato il testamento del nostro Metello Vari, già proprietario della "borza" michelangiolesca (ASR, Rubricellone della SS. Annunziata, 7 aprile 1554, cfr. PARRONCHI [1975] , che delinea le vicende dell'eredità di Metello Vari). La statua viene citata nell'inventario della statue di palazzo Giustiniani stilato nel 1638, dopo la morte del marchese Vincenzo: "(Nella stanza abaso canto alla Porta [grande del palazzo] verso San Luigi [àll'uscir à man dritta, dove sono de bassi rilievi]), Un Christo in piedi nudo con panno traverso di metallo moderno, che abbraccia con la dritta un tronco di Croce con corda e Spongia e trè pezzi di Croce in terra alto palmi 9. in circa". L'ipotesi più probabile è che, dopo avere acquistato il marmo non finito, Vincenzo lo abbia fatto completare da uno scultore di sua fiducia (forse uno dei tanti che lavorarono per lui in qualità di restauratori) che ne coperse la nudità ormai divenuta "oltraggiosa" per i canoni del decorum seicentesco. Le menzioni della statua che negli anni successivi si ritrovano puntualmente negli inventari di palazzo Giustiniani non vanno prese in considerazione: questi, infatti, riportano pedissequamente quanto elencato nell'inventario del 1638. Ben più importante, invece, è il fatto che il Cristo venga citato nei documenti relativi alla chiesa di S. Vincenzo Martire a Bassano Romano sin dal 1644: qui l'opera fu certamente portata da Andrea, figlio adottivo di Vincenzo, in osservanza alle disposizioni lasciate dal marchese (DANESI SQUARZINA [2000b]). Come noto, fu lo stesso Vincenzo, "architetto dilettante", a progettare la costruzione della chiesa che ancora oggi si impone visivamente sulla valle sottostante: la statua del Cristo di Michelangelo, originariamente posta sull'altare maggiore del Santuario all'interno di una gigantesca nicchia riprodotta nella Galleria Giustiniana, poteva dominare così l'intero paesaggio. Numerosi sono gli interrogativi che questa scoperta può suscitare, soprattutto rispetto alle implicazioni che essa comporta in termini di storia del collezionismo. Il fatto che negli inventari Giustiniani la statua non venga mai menzionata come opera di Michelangelo non deve affatto sorprendere: non soltanto era prassi che tali inventari, redatti fondamentalmente come documenti fiscali, sottacessero informazioni importanti relative al valore economico dei beni, ma nel caso specifico della collezione Giustiniani le statue vengono semplicemente indicate come "moderne" o "antiche" (unica eccezione a questa regola è il nome di François Du Quesnoy). Che il Cristo della Minerva avesse per Vincenzo un significato particolare è dimostrato da un breve passo del Discorso sopra la scultura, nel quale il marchese paragona l'opera di Michelangelo al cosiddetto "Adone dei Pichini" (ovvero il Meleagro dei Musei Vaticani): in questo confronto tra antico e moderno è l'Adone ad affermarsi poiché la sua bellezza è tale che la statua sembra respirare: "…come si vede in alcune statue antiche, e particolarmente nell'Adone de' Pichini ch'è una statua in piedi, ma con tanta proporzione in tutte le parti, e di squisito lavoro, e con tanti segni di vivacità indicibili, che a rispetto dell'altre opere, questa pare che spiri, e pur è di marmo come le altre, e particolarmente il Cristo di Michelangelo, che tiene la Croce che si vede nella chiesa della Minerva, ch'è bellissima, e fatta con industria e diligenza, ma pare statua mera, non avendo la vivacità e lo spirito che ha l'Adone suddetto, dal che si può risolvere, che questo particolare consista in grazia conceduta dalla natura, senza che l'arte vi possa arrivare" (BANTI [1981], p. 70). È davvero interessante, allora, constatare (come Silvia Danesi Squarzina aveva già suggerito nel 1998) che nel Cristo Giustiniani, forse completato su indicazione di Vincenzo, la statua presenta, differentemente da quella della Minerva, la bocca aperta. Poiché il volto del Cristo appare come una delle parti maggiormente rimaneggiate dell'opera, è assai probabile che per la sua finitura il marchese abbia fornito delle precise indicazioni. Al di là dei dati storici e documentari sin qui delineati, il Cristo Giustiniani presenta - a un'analisi ravvicinata - numerosi elementi di conforto per l'attribuzione michelangiolesca. Innanzitutto il lato sinistro del volto del Cristo è segnato da una lunga venatura nera che dalla guancia scende fin sotto alla barba. L'evidenza di questo elemento, notato anche da Serenella Rolfi ma da lei ritenuto una fortuita coincidenza (ROLFI [1998] e [2000]), è a mio parere tale da costituire di per sé una prova significativa per l'identificazione dell'opera. Tracce di non finito sono ravvisabili nella parte posteriore della statua, mentre impronte plausibili di gradina a tre denti si possono distinguere sulla mano sinistra. È inoltre interessante confrontare la somiglianza della serie di forature riscontrabili nella fessura che separa la parte bassa della gamba sinistra dal tronco d'albero con quelle lasciate frequentemente da Michelangelo sul contorno di molte sue sculture, come nello Schiavo ribelle del Louvre (anche in quest'ultimo una linea di forature si trova nella fessura posta tra la gamba e l'elemento naturalistico; cfr. HARTT [1969], p. 18). Poiché rimane sconosciuta l'identità dello scultore chiamato a completare l'opera ed è in ogni caso molto rischioso cercare di determinare su basi puramente stilistiche il grado di finitura raggiunto da Michelangelo al momento in cui decise di abbandonare il blocco di marmo, è bene limitarsi a cercare di riconoscere l'intervento del grande scultore nella semplice impostazione della statua, nel suo equilibrio e nelle sue proporzioni. Tuttavia, se, come credo, Michelangelo poté definire il contorno dell'opera e cominciare a modellare la figura (non altrimenti si spiegherebbero le descrizioni delle fonti, che parlano chiaramente di un "Cristo nudo con la croce" e dunque di una scultura già "leggibile" benché incompiuta), è comunque legittimo avanzare alcune ipotesi di carattere formale. L'articolazione degli arti, evidentemente esemplata sul modello classico del contrapposto policleteo, impone alla figura una solennità tipicamente rinascimentale: il solido appoggio la inchioda al terreno e conferisce alla statua un equilibrio da eroe antico. È questa, peraltro, la concezione che sottende allo stesso David, ove un analogo contrapposto di braccia e gambe definisce la postura della statua. Sul piano del confronto stilistico è molto interessante rilevare la forte analogia riscontrabile tra il particolare della mano sinistra del Cristo Giustiniani, premuta contro la coscia a trattenere la veste, e quella del Bacco (Firenze, Museo del Bargello), immersa leggermente in un morbido panno. Come rilevato da Silvia Danesi Squarzina, il confronto rasenta la quasi sovrapponibilità nel caso di un disegno a sanguigna oggi conservato al Louvre, inv. 717 (63522), datato da Tolnay agli anni precedenti il Cristo della Minerva e rappresentante proprio il particolare di una mano distesa su un tessuto (TOLNAY [1975 ], vol. I, p. 84, tav. 93). A queste considerazioni, vanno aggiunte le importanti riflessioni di carattere iconologico elaborate da Silvia Danesi Squarzina (DANESI SQUARZINA [2000b]). L'iconografia del Cristo Giustiniani, con il braccio sinistro disteso lungo la gamba e il destro piegato a stringere gli strumenti del martirio, si può ben ricollegare all'immagine del cosiddetto "Uomo dei dolori": in segno di mortificazione Cristo abbassa gli occhi e volta il capo a distogliere lo sguardo dalla propria nudità (WEINBERGER [1967], vol. I, p. 209). È di grande interesse sottolineare il fatto che esiste una tradizione iconografica del Cristo-Uomo dei dolori chiaramente derivata dal Cristo michelangiolesco alla Minerva, ma caratterizzata da una "diversa positura". Una incisione tratta da Rosso Fiorentino (CARROLL [1987]; CIARDI [1994], p. 55) rappresenta il Cristo con la Croce e gli strumenti del martirio che distende però il braccio sinistro verso il basso, lasciando scorrere, con chiaro significato eucaristico, il sangue che sgorga dal costato verso un calice posto ai suoi piedi. Allo stesso modo, una scultura di Raffaello da Montelupo (Orvieto, Duomo) ripropone il Cristo con la Croce e il braccio disteso verso il basso. È dunque possibile che l'impostazione della prima versione del Cristo della Minerva si sia in qualche modo diffusa nell'ambito degli allievi di Michelangelo e che si sia poi perpetuata con l'aggiunta di alcune contaminazioni iconografiche. Il fatto che una "diversa positura", ora confermata anche dalle lettere del 1607, dovesse in qualche modo differenziare la prima dalla seconda versione del Cristo della Minerva, era stato già ipotizzato da autorevoli studiosi come lo Hartt (HARTT [1971], p. 215) ed il Weinberger (WEINBERGER [1967], vol. I, pp. 202 e ss.). Quest'ultimo, in particolare, riteneva che non soltanto la prima versione dovesse necessariamente differenziarsi dalla seconda per l'ovvia ragione che Michelangelo non avrebbe mai realizzato due statue di identica impostazione, ma che l'elemento che a suo parere doveva distinguerle era necessariamente la posizione del braccio sinistro. Nel 1514 Michelangelo non avrebbe utilizzato una soluzione tanto ardita come quella poi adottata nella sua versione definitiva: più probabilmente, afferma Weinberger, lo scultore avrebbe optato per una scelta più convenzionale, lasciando cadere il braccio lungo la linea della gamba sinistra. (Irene Baldriga)

Ricollocazione della statua del redentore di Michelangelo Buonarroti Bassano Romano novembre 2001 a cura di Silvia Danesi Squarzina e Don Cleto Tuderti

la tua foto cristo minerva
a destra il Cristo della Minerva a sinistra il Cristo Giustiniani di Bassano Romano

Nella Basilica di S.Maria della Minerva a Roma è presente il Cristo risorto di Michelangelo commissionato nel 1514 da Metello Vari, nobile romano, la cui cappella gentilizia e proprio vicina a quella dei Giustiniani. L'artista aveva da un paio di anni concluso i primi affreschi nella Cappella Sistina.Proprio recentemente in occasione della Mostra sulla Collezione Giustiniani del 2001, è stato scoperto che il Cristo della Minerva è una "seconda copia", del Michelangelo. La "prima" attualmente is trova nel Monastero di S.Vincenzo a Bassano Romano .
Dopo aver lavorato la statua (dal basso verso l'alto come si usava all'epoca) il grande artista scoprì proprio sul volto una venatura nera ("... reuscendo nel viso un pelo nero hover linea…", GOTTI [1875], vol. I, p. 143) ed abbandò l'opera che restituì al committente al prezzo di marmo (per riconoscenza Mello Vari gli regalò un puledro) che lo collocò nel giardino della propria residenza romana dichiarando di conservarla "come suo grandissimo onore, come fosse d'oro". , qualche anno dopo la stauta entrò nel circuito degli antiquari e fu notata da Vincenzo Giustiniani, colto mecenate e soprattutto attento conoscitore dell'arte che subitò intuì la mano del grande artista sull'opera incompiuta. Vincenzo fece completare da uno scultore di sua fiducia (forse uno dei tanti che lavorarono per lui in qualità di restauratori) che ne coperse la nudità ormai divenuta "oltraggiosa" per i canoni del decorum seicentesco. e la mise sull'altare maggiore della Chiesa di S.Vincenzo a Bassano.
Il Cristo restò sull'altare maggiore di San Vincenzo fino alla metà degli anni sessanta, dove fu poi posto in una cappella laterale.
Che il Cristo della Minerva avesse per Vincenzo un significato particolare è dimostrato da un breve passo del Discorso sopra la scultura, nel quale il marchese paragona l'opera di Michelangelo al cosiddetto "Adone dei Pichini" (ovvero il Meleagro dei Musei Vaticani): in questo confronto tra antico e moderno è l'Adone ad affermarsi poiché la sua bellezza è tale che la statua sembra respirare: "…come si vede in alcune statue antiche, e particolarmente nell'Adone de' Pichini ch'è una statua in piedi, ma con tanta proporzione in tutte le parti, e di squisito lavoro, e con tanti segni di vivacità indicibili, che a rispetto dell'altre opere, questa pare che spiri, e pur è di marmo come le altre, e particolarmente il Cristo di Michelangelo, che tiene la Croce che si vede nella chiesa della Minerva, ch'è bellissima, e fatta con industria e diligenza, ma pare statua mera, non avendo la vivacità e lo spirito che ha l'Adone suddetto, dal che si può risolvere, che questo particolare consista in grazia conceduta dalla natura, senza che l'arte vi possa arrivare" (BANTI [1981], p. 70). È davvero interessante, allora, constatare (come Silvia Danesi Squarzina aveva già suggerito nel 1998) che nel Cristo Giustiniani, forse completato su indicazione di Vincenzo, la statua presenta, differentemente da quella della Minerva, la bocca aperta. Poiché il volto del Cristo appare come una delle parti maggiormente rimaneggiate dell'opera, è assai probabile che per la sua finitura il marchese abbia fornito delle precise indicazioni.
Michelangelo, abbandonata la prima opera, lavorò su un nuovo blocco e spedì ai suoi aiutanti romani una statua ancora da completare. Inizialmente vi lavorò Pietro Urbano, ma la statua successivamente fu più opportunamente completata da Federico Frizzi lasciando comunque insoddisfatto il grande Michelangelo. La statua risultò comunque gradita al principale committente (Metello Vari) e la vicenda si concluse. L'opera, come previsto fin dall'inizio, fu collocata nella Chiesa di S.Maria sopra Minerva. Attualmente è ubicata a lato dell'altare principale con il volto del Cristo praticamente rivolto in direzione degli affreschi di Filippino Lippi nella Cappella Carafa. Dopo le vicende michelangiolesche vi fu posto un panneggio dorato per coprire le nudità.
una seconda versione del Cristo Portacroce, visibile ancora oggi. La statua, però, era solo all’inizio della sua avventura. All’inizio del ’600 venne venduta sul mercato antiquario e attirò l’attenzione del Marchese Vincenzo Giustiniani, mecenate e intenditore d’arte, che la volle per arricchire la sua già cospicua galleria di statue antiche. Il Marchese se l’assicurò alla modica cifra di trecento scudi, praticamente poco più del costo del marmo grezzo. Ma quelli erano gli anni della Controriforma e così un Cristo nudo era ritenuto osceno a tal punto che il Marchese decise di farla coprire con un perizoma e ultimare nelle parti mancanti. Giustiniani fece apportare qualche modifica alla parte frontale del corpo e alle labbra che, secondo il suo gusto, dovevano essere semichiuse e non serrate come le aveva precedentemente scolpite Michelangelo. Ed è a questo punto che entra in gioco il secondo colpo di scena nella storia del Cristo Portacroce di Bassano. Per secoli, infatti, si è ritenuto che l’opera fosse stata completata da un anonimo scultore del Seicento. Fino ai giorni nostri. Fino a quando il ricercatore d’arte tedesco, professor Frommel, ipotizzò che il Marchese Giustiniani avesse affidato la rifinitura della bozza michelangiolesca a Gian Lorenzo Bernini, allora stella nascente della scultura. Per la prima volta nella storia dell’arte, dunque, la stessa opera porterebbe la firma di due geni assoluti di tutti i tempi: Michelangelo e Bernini. «Non ci sono documenti ufficiali - precisa il professor Frommel - ma c’è l’evidenza stilistica. La superficie della statua non può essere di Michelangelo e ci sono tante somiglianze tra quest’questa e quelle giovanili del Bernini. Tutta la storia resta, comunque, avvolta da un alone di mistero». Nel 1644, dopo il completamento dell’opera, il principe Andrea Giustiniani, successore del Marchese Vincenzo, trasferì il Cristo Portacroce nella chiesa-mausoleo di famiglia, a Bassano Romano, dov’è visibile ancora oggi. «La scoperta della mano di Michelangelo – spiega don Cleto Tuderti, priore del Monastero di San Vincenzo a Bassano Romano - è stata accolta da tutti con grande soddisfazione. Non capita tutti i giorni di avere un’opera d’arte così importante in un Paese quasi sconosciuto al resto d’Italia come il nostro. L’altro effetto immediato è stato sul valore assicurativo della statua. Prima era di due miliardi, subito dopo la scoperta è schizzato a dieci». L’altro effetto immediato è che la Soprintendenza ai Beni culturali ha deciso di proteggere la statua del Cristo Portacroce di Michelangelo con eccezionali misure di sicurezza e una cancellata artistica. «Con la speranza – conclude don Cleto Tuderti – che quest’anno il Comune di Bassano voglia celebrare i 500 anni della statua come si conviene a un’opera d'arte di questa importanza». Staremo a vedere. La storia continua. (Carlo Antini - Il Tempo 20 febbraio 2014)

Una mostra didattica e prestigiosa con circa 60 opere dei principali autori toscani quali Giotto, Duccio, Masaccio. «È come se il curatore della mostra fosse lo stesso Giorgio Vasari – dice Paola Refice – Perché in realtà è stato lui a generare il nostro gusto. Le cose che ci piacciono adesso, e soprattutto le cose che sono in primo piano nel mondo dell’arte, sono scelte e studiate con uno spirito ancora influenzato dai giudizi che ha dato il Vasari». La suggestione evocata dalle opere esposte aumenta grazie a un testo registrato e sincronizzato con il percorso museale e fruibile con degli iPod. Sarà come ascoltare la voce dello stesso Vasari che suggerisce e commenta attribuzioni che, in parte, non sono condivise dagli attuali orientamenti critici. Alla definizione del progetto hanno collaborato con Paola Refice i colleghi della Direzione Regionale della Toscana e delle Soprintendenze di Firenze, Siena, Urbino, Perugia. Il comitato scientifico, presieduto da Antonio Paolucci è composto da Cristina Acidini, Gabriele Borghini, Maria Brucato, Lia Brunori, Agostino Bureca, Alessandro Cecchi, Aldo Cicinelli , Vittoria Garibaldi, Anna Maria Guiducci, Michele Loffredo, Mario Scalini, Maria Rosaria Valazzi.

DAL 27 MAGGIO AL 14 SETTEMBRE 2014 AI MUSEI CAPITOLINI Michelangelo ritrovato torna a casa Tra le opere anche il Cristo Portacroce di Bassano Romano. Disegni, dipinti e manoscritti in mostra (1564-2014 MICHELANGELO Incontrare un artista universale )

I
n occasione del 450° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti, avvenuta a Roma il 18 febbraio 1564, un’esposizione che ripercorre la vita e l'opera di questo titano di tutti i tempi. Scultura, pittura, architettura e poesia, le quattro arti in cui si espresse il genio di Michelangelo, saranno raccontate in nove sezioni espositive, focalizzando così i temi cruciali della sua poetica. La Madonna della Scala, la Leda, il Crocifisso del Bargello, il Bruto e il Cristo Risorto di Bassano Romano, sono solo alcuni dei capolavori michelangioleschi ospitati ai Musei Capitolini

Dopo 400 anni il «Cristo Portacroce» di Michelangelo conservato a Bassano Romano tornerà nella Capitale. Per quattro secoli la statua di marmo è stata custodita nel Monastero di San Vincenzo, dove l’ha portata il principe Andrea Giustiniani per collocarla nella chiesa-mausoleo della sua famiglia. La statua sarà uno dei pezzi forti della mostra che verrà inaugurata martedì 27 maggio ai Musei Capitolini di Roma e resterà aperta fino al 14 settembre. Intitolata «Michelangelo - Incontrare un artista universale», l’esposizione sarà suddivisa in nove sezioni, legate dal tema degli opposti. Tra le sezioni principali della mostra ci saranno moderno/antico, vita/morte, battaglia/vittoria/prigionia, regola/libertà, amore terreno/amore spirituale. Oltre alla statua del «Cristo Portacroce» di Bassano Romano, ai Musei Capitolini arriveranno opere in prestito dagli Uffizi, dai Musei Vaticani e dall’Albertina di Vienna. Dalla collezione del British Museum di Londra arriveranno persino disegni del genio toscano. Ogni tema sarà analizzato mettendo a confronto disegni, dipinti, sculture e modelli architettonici, oltre a una selezione di scritti autografi fra lettere e componimenti poetici. Il progetto prevede di fare un faccia a faccia tra una studiatissima scelta di autografi scritti, lettere e rime. Tra gli altri, ai Capitolini ci saranno la Madonna della Scala, la «Leda» e il modello ligneo di San Lorenzo, provenienti direttamente da Casa Buonarroti. Senza dimenticare il Crocifisso del Museo nazionale del Bargello di Firenze. E ancora la Caduta di Fetonte dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia e lo Studio di testa di Sibilla Cumana dalla Biblioteca Reale di Torino. Non c’è dubbio che gli occhi saranno puntati soprattutto sul Cristo Portacroce, scultura attribuita a Michelangelo Buonarroti una decina d’anni fa dalla docente di Storia dell’Arte Silvia Danesi Squarzina e dalla sua allieva Irene Baldriga. Le due studiose stavano mettendo a punto il materiale per allestire una mostra a Palazzo Giustiniani, quando scovarono un documento che non lasciava adito a dubbi: l’autore del Cristo Portacroce di Bassano Romano è proprio Michelangelo. Da allora, il valore del marmo cinquecentesco è lievitato a dismisura, passando da un valore assicurativo di due fino agli attuali dieci miliardi. Il giovane Michelangelo cominciò a lavorare all’opera tra il 1514 e il 1516 su commissione di Metello Vari all’epoca del suo soggiorno romano. Michelangelo la lasciò incompiuta perché sulla guancia del Cristo Portacroce affiorò una venatura nera che ne inficiò la qualità. Fu allora che la consegnò a Metello Vari in cambio di un cavallo. Ma il vero colpo di scena doveva ancora arrivare. Il colpaccio lo avrebbe fatto il professor Frommel, ricercatore d’arte tedesco. Lo studioso ipotizza che la statua sia stata ritoccata non da un anonimo scultore del ’600 ma da Gian Lorenzo Bernini che modificò leggermente l’espressione del volto e delle labbra. Tutto questo si potrà ammirare da martedì prossimo dalle 9 alle 20. La biglietteria chiuderà un’ora prima e resterà chiusa il lunedì. (Carlo Antini - Il Tempo 22 maggio 2014)

Se la statua del Cristo Portacroce di Bassano Romano potesse parlare ne avrebbe di storie da raccontare. Entrando nel Monastero di San Vincenzo, oggi la si trova in una cappella riservata ma la sua casa non è stata sempre quella. E non è l’unico cambiamento che il marmo ha dovuto affrontare in cinque secoli di vita. Solo da una decina d’anni la statua ha finalmente un padre riconosciuto e non è uno qualunque. Dopo secoli nei quali era stata attribuita a un anonimo scultore del XVII secolo, nel 2001, mentre allestivano una mostra a Palazzo Giustiniani, la docente di Storia dell’arte Silvia Danesi Squarzina e la sua allieva Irene Baldriga portarono alla luce un documento che svela il vero papà del Cristo Portacroce di Bassano: il giovane Michelangelo. Tra il 1514 e il 1516 l’artista toscano soggiornò a Roma, dove Metello Vari gli commissionò la scultura. Michelangelo l’aveva quasi terminata quando scoprì nel marmo della guancia un difetto, una venatura nera che vanificava il lavoro di mesi. Preso dallo sconforto l’artista decise di abbandonare l’opera e la regalò a Metello che, in cambio, gli donò un cavallo. Da allora il Cristo Portacroce restò a Roma, incompiuto, nel palazzo di Metello Vari. Proprio a due passi dalla Chiesa sopra Minerva dove, vent’anni più tardi, lo stesso Michelangelo avrebbe scolpito una seconda versione del Cristo Portacroce, visibile ancora oggi. La statua, però, era solo all’inizio della sua avventura. All’inizio del ’600 venne venduta sul mercato antiquario e attirò l’attenzione del Marchese Vincenzo Giustiniani, mecenate e intenditore d’arte, che la volle per arricchire la sua già cospicua galleria di statue antiche. Il Marchese se l’assicurò alla modica cifra di trecento scudi, praticamente poco più del costo del marmo grezzo. Ma quelli erano gli anni della Controriforma e così un Cristo nudo era ritenuto osceno a tal punto che il Marchese decise di farla coprire con un perizoma e ultimare nelle parti mancanti. Giustiniani fece apportare qualche modifica alla parte frontale del corpo e alle labbra che, secondo il suo gusto, dovevano essere semichiuse e non serrate come le aveva precedentemente scolpite Michelangelo. Ed è a questo punto che entra in gioco il secondo colpo di scena nella storia del Cristo Portacroce di Bassano. Per secoli, infatti, si è ritenuto che l’opera fosse stata completata da un anonimo scultore del Seicento. Fino ai giorni nostri. Fino a quando il ricercatore d’arte tedesco, professor Frommel, ipotizzò che il Marchese Giustiniani avesse affidato la rifinitura della bozza michelangiolesca a Gian Lorenzo Bernini, allora stella nascente della scultura. Per la prima volta nella storia dell’arte, dunque, la stessa opera porterebbe la firma di due geni assoluti di tutti i tempi: Michelangelo e Bernini. «Non ci sono documenti ufficiali - precisa il professor Frommel - ma c’è l’evidenza stilistica. La superficie della statua non può essere di Michelangelo e ci sono tante somiglianze tra quest’questa e quelle giovanili del Bernini. Tutta la storia resta, comunque, avvolta da un alone di mistero». Nel 1644, dopo il completamento dell’opera, il principe Andrea Giustiniani, successore del Marchese Vincenzo, trasferì il Cristo Portacroce nella chiesa-mausoleo di famiglia, a Bassano Romano, dov’è visibile ancora oggi. «La scoperta della mano di Michelangelo – spiega don Cleto Tuderti, priore del Monastero di San Vincenzo a Bassano Romano - è stata accolta da tutti con grande soddisfazione. Non capita tutti i giorni di avere un’opera d’arte così importante in un Paese quasi sconosciuto al resto d’Italia come il nostro. L’altro effetto immediato è stato sul valore assicurativo della statua. Prima era di due miliardi, subito dopo la scoperta è schizzato a dieci». L’altro effetto immediato è che la Soprintendenza ai Beni culturali ha deciso di proteggere la statua del Cristo Portacroce di Michelangelo con eccezionali misure di sicurezza e una cancellata artistica. «Con la speranza – conclude don Cleto Tuderti – che quest’anno il Comune di Bassano voglia celebrare i 500 anni della statua come si conviene a un’opera d'arte di questa importanza». Staremo a vedere. La storia continua. (Carlo Antini - Il Tempo 20 febbraio 2014)

Celebrazione del V centenario del Cristo portacroce di Michelangelo (1514-2014) - Giornata di Studi Bassano Romano 27-28 settembre 2014

L’evento, organizzato dal Comune di Bassano Romano e dal Monastero dei Padri Benedettini Silvestrini di San Vincenzo M. di Bassano Romano con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, vuole rappresentare un momento di alto valore culturale. L’evento non avrà solo uno scopo celebrativo,ma anche quello di ridare la giusta collocazione nel panorama culturale italiano a un’opera di così alto valore artistico, rimasta per secoli sconosciuta al pubblico e agli stessi studiosi . Un’opera di tale valenza, oggi esposta e resa visibile a tutti, merita di essere meglio pubblicizzata attraverso tutti i canali informativi che interagiscono con i flussi turistici. Il Turismo culturale quale elemento trainante dell’economia di Bassano e di tutta la Tuscia è uno dei temi che verranno trattati nella seconda parte delle celebrazioni: esperti del settore studieranno il modo di implementare il sistema turistico della Tuscia, fornendo dei suggerimenti sulla creazione di circuiti per il collegamento e la valorizzazione di siti e monumenti di alto interesse storico-culturale presenti nella zona. I rappresentanti delle Istituzioni sia provinciali che regionali sono invitati, insieme ai sindaci dei comuni interessati, a dar vita ad una tavola rotonda per confrontarsi su questo tema di grande interesse.

Exposición Miguel Angel Buonarroti - Un artista entre dos mundos
(26 giugno - 27 settembre, 2015)

The sculpture Cristo Portacroce is shown during a tour for media representatives of the exposition "Michelangelo Buonarroti: An artist between two worlds", in the Fine Arts Palace, in Mexico City, capital of Mexico, on June 23, 2015. The exposition "Michelangelo Buonarroti: An artist between two worlds" will be opened to the public from June 26 to September 27, 2015.
Art, innovation, forward thinking and a phenomenal legacy is what the great artists of the Renaissance have gifted to humanity. From Italy to the rest of the world. Now, the Museum of the Palace of Fine Arts in Mexico City will have the honor of exhibiting some of the most representative works of Leonardo Da Vinci and Michelangelo Buonarroti. Leonardo Da Vinci, the “archetypal Renaissance man” and Michelangelo Buonarroti, the creator of the Sistine Chapel Ceiling, are widely hailed as the most important artists and the turning point for the Italian Renaissance. “They are two artists, not only among the best known, but who also made an absolutely unrepeatable mark on an art period and on the history of culture, which is the Renaissance,” said Rafael Tovar y de Teresa, president of the National Council for Culture and the Arts of Mexico (Conaculta), to Televisa. “I believe that both are the highest points of the Renaissance.”

Il Cristo Portacroce di Michelangelo vola alla national Gallery di Londra - "Michelangelo & Sebastiano: The Credit Suisse Exhibition"
(
15 Marzo – 25 Giugno 2017)

A 500-year-old marble statue of Christ will form the centrepiece of a blockbuster exhibition on Michelangelo at the National Gallery after curators negotiated a deal to bring it to London from its permanent home in a monastery in Italy. The statue of the Risen Christ, weighing almost a ton, is one of almost 30 works which will go on show at the National Gallery next year in its first major exhibition on perhaps the greatest of all Renaissance artists in more than 20 years. The Michelangelo exhibition, two years in the making, could set new visitor records. The show, which opens in March 2017 and runs until the end of June, will focus on Michelangelo’s friendship and collaboration with the artist Sebastiano del Piombo and their acrimonious falling out.

Il “Cristo Portacroce” di Michelangelo, conservato nella Chiesa del Monastero San Vincenzo Martire di Bassano Romano, insieme alla “Pietà” di Sebastiano del Piombo, conservata nel Museo Civico di Viterbo, sono i tesori della Tuscia protagonisti dal 15 marzo al 25 giugno 2017 della mostra “Michelangelo e Sebastiano” alla National Gallery di Londra. “Non è la prima volta che la statua del Cristo Portacroce di Bassano Romano varca i nostri confini – dichiara l’Assessore al Turismo e alla Promozione del Territorio di Bassano Romano, Yuri Gori – e questa nuova partenza conferma il grande valore dell’opera. Ricordo la presenza della statua di Michelangelo in Messico, a Berlino e a Roma. L’ultima esposizione è stata proprio a Roma, ai Musei Capitolini, in occasione del 450° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti con la mostra ‘Michelangelo. Incontrare un artista universale’, dove la nostra Statua, anche per la sua particolare storia, ha riscosso un grande successo di critica. E dopo Londra, dovrebbe partire alla volta del Giappone per un’altra mostra di carattere internazionale. Conosciamo il suo valore – continua l’Assessore Gori – ed il fatto che viene richiesta da tutto il mondo ci rende assolutamente fieri. Dall’altra parte, proprio il Cristo Portacroce può e deve essere uno dei nostri punti di forza per attrarre turisti a Bassano Romano e su questo stiamo lavorando. La statua, infatti, ci consente di promuovere il nostro paese per un turismo di qualità e culturale. E anche la presenza dell’opera di Michelangelo in diversi paesi consente una promozione proprio di Bassano Romano. Abbiamo avviato un percorso di promozione territoriale che sta raccogliendo i primi risultati, con la consapevolezza che sarà lungo ma sul quale stiamo puntando in maniera strategica”. “Siamo convinti – commenta ancora Yuri Gori – che la cultura ed il nostro patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico costituisce una delle risorse fondamentali per uno sviluppo sostenibile del turismo e del nostro territorio. Accanto alla statua del Cristo Portacroce, infatti, possiamo contare sulla Villa Giustiniani, che contiene pregevoli affreschi del Seicento ed un parco di circa 24 ettari, sulla faggeta e su altri beni che possono offrire un itinerario turistico di assoluto interesse e di qualità. E’ un patrimonio che rappresenta, inoltre, una importantissima testimonianza della nostra storia”.

Nude Christ by Michelangelo, Long Forgotten, Will Be Shown in London
(By Elisabetta Povoledo)

It might seem odd that a nearly seven-foot-tall statue of Christ by Michelangelo — and a nude one at that — would go unnoticed for centuries. But that’s what happened to “Risen Christ,” a monumental figure that was transferred to a country church about 35 miles from Rome in the 17th century and that fell into oblivion until 1997, when scholars attributed it to the Renaissance master. “It was thought to be an imitation” of a Michelangelo, and “not a faithful one at that,” said the Rev. Cleto Tuderti, prior of the San Vincenzo Monastery on the outskirts of Bassano Romano, near Viterbo, where the statue was taken in 1644. “Certainly, no one thought it was by Michelangelo.” Father Tuderti says he is convinced that the unknown provenance of the work ensured its salvation through the ages. When Napoleon’s troops invaded Italy at the end of the 18th century, they sacked Bassano Romano but did not touch the statue, he said. During World War II, the Germans “set up a command post in Bassano,” but they did not loot the statue, he continued. And when the Odescalchi family donated the badly dilapidated monastery to Father Tuderti’s predecessor in 1941, they removed other artifacts, but not the statue, he said cheerfully. “Fortunately, no one knew it was an original,” said Father Tuderti, who belongs to the Sylvestrine Benedictine order. “That’s what saved it, and preserved it here, in situ.” Since the statue was identified as a Michelangelo, however, the monastery has gladly shown off its treasure, allowing the statue to travel to exhibitions around the world, including in Rome, Berlin and Mexico City. Soon, it will be one of the showpieces of an exhibition on Michelangelo and the painter Sebastiano del Piombo that is set to open at the National Gallery in London on March 15 and to run through June 25. “Risen Christ” was commissioned in 1514 by Metello Vari, the nephew of a wealthy Roman patrician, Marta Porcari, whose will required her heirs to build a chapel in her memory in the church of Santa Maria Sopra Minerva in Rome. Documents show that Vari asked Michelangelo to sculpt a life-size figure of a standing, nude Christ holding a cross. But Michelangelo abandoned work on the statue after finding a deep, black vein cutting through the left cheek. He returned to Florence and fretted over the aborted commission. “I’m dying of anguish,” he wrote to Leonardo Sellaio, a bank agent, in December 1518. Soon after, the artist began a second version of “Risen Christ,” which he completed in 1521. That work is still in the church of Santa Maria Sopra Minerva. But Michelangelo also gave Vari the first, incomplete statue, which fell into obscurity after Vari’s death in 1554. It was acquired in Rome roughly 50 years later by the Giustiniani family, wealthy collectors — and famously patrons of Caravaggio — who presumably did not know the statue’s genesis. Another artist was commissioned to finish the statue, and in 1644, the Christ was transferred to the recently built church of San Vincenzo Martire in Bassano Romano, where it remained on the main altar until 1979. The prior at the time, the Rev. Ildebrando Gregori, chose to dedicate the main altar to devotion of the Holy Face of Jesus, and he moved the “Risen Christ” to the sacristy. The “Risen Christ” was known only from writings describing Michelangelo's work on a statue of that description until Dr. Irene Baldriga and Prof. Silvia Danesi Squarzina of La Sapienza University in Rome, who were working on the Giustiniani archives, tracked down the statue in 1997. After other documents emerged and the attribution to Michelangelo was confirmed, there was some discussion about where the statue should go and in what guise. Michelangelo had sculpted a nude Christ because, in 1514, “reverence for classical antiquity and the timeless beauty of the human body” still held sway, Professor Squarzina said. Later, in keeping with the mores of the Counter-Reformation, a bronze cloth was added to cover the Christ’s groin. “The monks didn’t want a nude statue on the main altar, but we wanted to display it as Michelangelo had created it, so we arrived at a compromise,” said Professor Squarzina, who had the backing of the state’s art authorities. The bronze cloth was removed, and the statue was placed in a side chapel where it is protected by alarms and a heavy metal grate. Both versions of the statue will be exhibited at the National Gallery (the Minerva one in a plaster cast), so that they can be studied side-by-side for the first time. “The evolution between the two versions is fascinating and ties into Michelangelo’s relationship with Sebastiano,” the focus of the exhibition, said Matthias Wivel, the National Gallery’s curator of 16th-century Italian paintings. The statues “help us tell this story,” he said. Sebastiano, moreover, was involved in the haphazard installation of the second version of the statue in the Minerva, which he described in panicky letters to Michelangelo. Those letters will also be included in the London show. Father Tuderti says he hopes that the statue’s notoriety will bring more visitors to the monastery, which runs a bed-and-breakfast. Few locals come to the site, he said, perhaps not knowing that there was a Michelangelo to behold. “Viterbo is closed mentally, like their Etruscan forbears, they’re more appreciative of what’s on the table” and in their farms, Father Tuderti said. “I hope they don’t hear me,” he joked. After London, the statue is set to travel to Japan for other exhibitions, he said. Some art experts fear that the statue — which weighs around a ton and has to be transported using military planes — has been traveling more than it should, putting it at risk of damage or loss. But Father Tuderti says that the attribution to Michelangelo has been a godsend, and that the money the monastery makes from lending it for exhibitions has paid off large tax debts and is helping to finance the construction of a monastery in the Republic of Congo. “The statue was identified at the right time,” he said. “We were in financial difficulty, and this statue now brings us a little help every once in a while.”


Il Cristo Portacroce di Michelangelo a Tokyo (Mitsubishi Ichigokan Museum) - Leonardo e Michelangelo
(17 Giugno 2017 – 24 settembre 2017)

Grandissimo successo di pubblico per la mostra "Leonardo e Michelangelo" a Tokyo, dove per la prima volta in Giappone viene esposta una statua di Michelangelo di grandi dimensioni. La statua è posta praticamente a terra ad altezza d'uomo. L'allestimento permette di ammirarne la grandezza (il Cristo è alto circa due metri) ed avere una visione a 360 gradi della statua (inserita in una nicchia nella sua sede a Bassano Romano e quindi apprezzabile solo di fronte).
In questo link in Giapponese (testo in Italiano con google-traduttore) le varie fasi dell'allestimento della statua per la mostra, oltre un attenta analisi storica e soprattutto "anatomica" della statua: korokoroblog.hatenablog.com/entry/レオナルド×ミケランジェロ展-ミケランジェロ―十
Questo è un breve sunto:

レオナルド×ミケランジェロ展:ミケランジェロの「十字架を持つキリスト」を見逃すな!
ということで、 ミケランジェロに見放され、名もない(?)彫刻家が手を加えてくれたようですが、その後、売却されて行方不明に。 ところが2000年! ローマ郊外のバッサーノ・ロマーノのサン・ヴィンチェンツォ修道院 修道院で納められていたキリスト像が、 ミケランジェロによるものだった! とわかりました。 ミケランジェロによるものだと判定した経緯をもう少し知りたいと思いました。
宗教改革 、第二次大戦などの戦禍を乗り越えて400年の眠りが解けて現れたという数奇な運命たどったミケランジェロの「十字架を持つキリスト」そんな彫刻が今度は日本にやってくるという奇跡を起こしました。 このキリスト像は、災いを乗り越える力を与えてくれるかもしれません。 また不可能かに思えるようなことも、コツコツと努力を重ねることで、実現に導くことができるという象徴的な展示とも言えます。 現地ではキリストの背を拝むことはできないようです。 360度、ぐるっと回って全周し、巨匠の手から引き継がれ、今の時代に至った彫刻をじっくり観察するチャンスです。
ぶらぶら美術館を見ていたら、残された作品もミケランジェロの手で破棄してしまったものも多いとのことでした。 またレオナルドの馬の像は、戦禍のあおりを受けて、射撃の的になってズタズタにされてしまった話などを聞くと、500年という時を経て、今に至ったことは、軌跡的です。 そして日本にやってきたことも・・・・



レオナルド×ミケランジェロ展7月11日からミケランジェロ彫刻展示のお知らせ - Il Cristo Giustiniani  

Michelangelo in tour … una vera …. “rock – star” di Enrico Giustiniani (www.hde.press)  


Il Cristo Portacroce di Michelangelo a Gifu (Gifu City Museum of history) - Leonardo e Michelangelo: la Scuola del mondo
(5 novembre 2017 – 23 novembre 2017)



Dopo Tokyo, il "Cristo Giustiniani" sarà esposto, sempre in Giappone, a Gifu al "Gifu City Museum of history" nell'ambito della mostra "Leonardo e Michelangelo e la scuola del Mondo". A Gifu si celebreranno due eventi di particolare importanza sia per il Giappone che per l’Italia: il 150° anniversario dei patti commerciali tra Italia e Giappone e i 40 anni del gemellaggio con la Città di Firenze. La mostra, organizzata sotto il patrocinio del Ministero degli Esteri d’Italia, dell’Ambasciata d’Italia in Giappone e delle più alte istituzioni giapponesi, ha sollevato l’entusiasmo della popolosa città di Gifu, accorsa ad ammirare il genio italiano scolpito nei suoi marmi.
L´esposizione raggruppa opere provenienti da Palazzo Vecchio e dal Museo Casa Buonarroti, ma il vero "pezzo forte" della manifestazione sarà il "Cristo Giustiniani" di Bassano Romano. La statua che Michelangelo lasciò incompiuta per il difetto del pelo nero, Alcuni azzardano addirittura che lo stesso Michelangelo, questa volta teologo, diede un significato diverso a quella "ferita sul volto", non un difetto del marmo ma a significava l’indegno trattamento subito dal Cristo fra gli umani.
In mostra anche un dipinto custodito a Palazzo Vecchio, ´Zuffa di cavalieri´, di Giovan Battista Naldini. Si tratta di un bozzetto di studio della parte centrale dell’affresco con la ´Rotta dei Pisani a Torre San Vincenzo´ dipinto tra il 1566 e il 1572 sulla parete ovest del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, sotto la direzione di Giorgio Vasari. Tradizionalmente attribuito a quest’ultimo, più di recente il bozzetto è stato riferito al suo collaboratore Giovan Battista Naldini. É possibile che la composizione sia ispirata alla perduta scena della ´Battaglia di Anghiari´ che Leonardo da Vinci cominciò a dipingere nella medesima sala di Palazzo Vecchio tra il 1504 e il 1506.
Entusiasmo alle stelle, quando la sala del Gifu City Museum, gremita all’inverosimile, si è vista avanzare superba la statua, che si liberava della robusta gabbia che la conteneva. Rimasto attonito il sindaco di Gifu, rigurgitante di ringraziamenti, commosso il direttore del Museo, fuori di sé dalla gioia. La Statua è stata accompagnata dall'Associazione culturale Metamorphosis di Bassano Romano e dal Priore del Monastero di San Vincenzo (dove è custodita la statua) Don Cleto Tuderti: “Immaginate, ha dichiarato Don Cleto, che sino al 2001 era un marmo di anonimo scultore, ora, quasi vendicandosi dell’inflitto silenzio, si sta prendendo le sue debite soddisfazioni, polverizzando le distanze del globo.

 

L'importanza del Cristo Risorto nella produzione artistica di Michelangelo - Giornata di Studi Bassano Romano
3 febbraio 2018

E' questo il titolo del convegno organizzato dal Comune di Bassano Romano in collaborazione con il Monastero San Vincenzo Martire e l’Associazione Pro Loco. L’appuntamento è sabato 3 febbraio dalle ore 10,00 alle 12,30 presso la Chiesa Monumentale di San Vincenzo. Ad aprire i lavori don Cleto Tuderti del Monastero San Vincenzo, e Claudio Canonici, professore ordinario di storia della Chiesa presso l’Istituto Superiore delle Scienze Religiose di Civita Castellana. La relazione, invece, è affidata a Sandro Barbagallo, curatore delle collezioni storiche dei Musei Vaticani e Direttore del Museo del Tesoro Lateranense.
L’evento ha ottenuto anche il patrocinio del Senato della Repubblica, della Regione Lazio e della Provincia di Viterbo.
Un clima di percepibile serenità quello che ha atteso l’apertura dei lavori, avviati dal sindaco Emanuele Maggi: “Si tratta di un convegno di forte spessore in cui la protagonista è l’arte, un’arte che molti possono invidiarci. Cerchiamo di essere consapevoli dell’enorme valore storico-culturale che il nostro paese possiede. Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha destinato 4 milioni di euro per il recupero e per la valorizzazione di Palazzo Giustiniani, una notizia che ci spinge a fare di più. Verranno ampliati gli orari di visita nonché il numero dei visitatori. A febbraio, inoltre, giungerà a Bassano Romano il ministro Dario Franceschini”.
Ho sentito chiamare la scultura in svariati modi – afferma Claudio Canonici – Cristo Portacroce, Cristo Risorto ma preferisco denominarlo Cristo Salvatore.
Le immagini che l’artista ha dipinto sono legate alla sua visione ideologica. Nel 2002 uscì il libro (Einaudi) di Antonio Forcellino intitolato “Michelangelo Buonarroti. Storia di una passione eretica”. Leggendo accuratamente alcune pagine, emerge immediato il pensiero dell’autore, secondo cui, il Michelangelo, avrebbe fatto ruotare la testa del suo “Mosè” per non guardare l’altare. Se egli può essere considerato un eretico, questo non è dovuto all’adesione a modelli misterici, piuttosto ad una lettura che ha voluto dare sulla storia della salvezza. Michelangelo arriva a Roma in un periodo in cui l’Italia è scossa da un desiderio di riforma della Chiesa. Egli è vicino alla lettura teologica di Reginald Pole, alla nobile Vittoria Colonna, al cappuccino Bernardino Ochino ma la sua non è una conversione.
Con Girolamo Savonarola – prosegue – poniamo al centro due elementi: la necessità di dover risarcire Dio del peccato che l’uomo che ha commesso; Cristo ha soddisfatto il debito che l’uomo ha contratto con Dio. Esattamente qui, in queste ultime delicate righe, risiede la lettura Michelangiolesca. E’ la visione che ha nutrito l’artista nelle sue opere giovanili, nella realizzazione dell’incantevole Cappella Sistina, nei suoi disegni.”
Le “Rime”, lette al termine dell’intervento, confermano tale pensiero.
E’ il relatore Sandro Barbagallo a tracciare la storia del Cristo, nonché quella della famiglia che ha permesso alla scultura di pulsare nel cuore del paese: i Giustiniani.
“E’ nel 1590 che i Giustiniani, giunti a Bassano Romano, decidono di costruire il Palazzo, esaltazione della storia imperiale romana. I due busti mastodontici sulla facciata non sono altro che una sottolineare la fastosità che la famiglia s’attribuiva. Questa statua “purtroppo’ è stata rilevata solo nel 2001. Le sua tardiva scoperta ha fatto perdere al territorio enormi oppoedfasdfdfidero rivolgermi al Comune e ai cittadini tutti – incalza Barbagallo – “Non siate gelosi dell’opera. Ammiratela e fatela ammirare, permettete alle persone di conoscerla, fotografarla, pubblicizzarla”
“Un amore o meglio un idillio, quello di Michelangelo con il marmo bianco di Carrara, iniziato con la Pietà. Parlando del Cristo qui esposto, egli lo inizia nel 1513 ma, a lavoro avviato, nota quel “pelo” nero sul volto della scultura. Impazzisce, è in preda alla disperazione. La abbandona. Inizia a fare altro e a realizzare, in seguito, una seconda versione del Cristo, a mio fredda e completamente diversa dalla precedente, una creazione svogliata (oggi nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva)” . Nel 1606 la statua del Cristo finisce sul mercato e viene offerta al nipote di Michelangelo, il fiorentino Francesco Borromini, per 300 scudi. La ritiene una bozza di poco valore, quindi la rifiuta. Saranno i Giustiniani ad acquistarla, portandola a Bassano Romano nel 1644. Nel passaggio viene rifinita ed ultimata.
“A mio parere – confida Barbagallo – l’opera Michelangiolesca qui presente è più importante di quella di Roma. E’ la prima, di conseguenza rappresenta il momento in cui l’artista realizza il suo amore. Dal punto di vista statico, è eccelsa e massiccia. La croce sta in piedi quasi da sola, a differenza dell’altra che ha bisogno di entrambe le braccia per essere sorretta. Il volto non è dolente, non notiamo nessun lineamento ricollegabile alla sofferenza o alla preoccupazione ( vengono mostrati, a paragone, dipinti di Antonello da Messina). C’è eleganza, c’è serenità.”
«La storia dell’arte non è solo storia di opere, ma anche di uomini …». Una straordinaria folla, accorsa al richiamo dell’arte, ha potuto ammirare l’eccelsa mostra fotografica allestita per l’occasione nella Chiesa di San Vincenzo Martire curata da Anna Moroni e Deborah Pozzoli. Una serie di immagini raffiguranti il Cristo, disposte con gusto e delicatezza, accanto al luogo dove la scultura continua a regnare sovrana.

Il Cristo Portacroce di Michelangelo a ai Musei San Domenico di Forlì - L’eterno e il Tempo. Tra Michelangelo e Caravaggio
(10 febbraio - 17 giugno 2018)

Tra il Rinascimento e il Barocco. La grande mostra al San Domenico di Forlì del 2018 mette in scena per la prima volta in maniera compiuta e in un nuovo percorso espositivo il fascino di un secolo compreso tra un superbo tramonto, l’ultimo Rinascimento, e un nuovo luministico orizzonte, l’età barocca.
Il periodo che intercorre tra il compimento del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina (1541) e la breve affermazione a Roma di Michelangelo Merisi da Caravaggio è per la storia dell’arte uno dei più avvincenti e stimolanti.
La pittura della Maniera aveva messo in campo le ragioni di un’“arte per l’arte”, in cui a prevalere erano il capriccio e la “licenza”, ovvero una sorta di trasgressione che stesse dentro alla regola: un’arte colta, rivolta a una ristretta élite in grado di compiacersi del gioco di sottili rimandi ai grandi modelli di Raffaello e di Michelangelo, sentiti come insuperabili.
A mettere in crisi questo modo di intendere l’arte era stata la polemica dei riformatori protestanti che, contro il lusso della corte pontificia, si richiamavano al rigore della Chiesa delle origini. Ma, ancora prima che il Concilio di Trento teorizzasse il valore didattico delle immagini – “da venerare secondo ciò che rappresentano”, sventando così il rischio iconoclasta – gli artisti avevano autonomamente elaborato una nuova figurazione in cui le esigenze del racconto prevalessero sullo sfoggio di un virtuosismo fine a sé stesso.
Uno dei pezzi forti della esposizione forlivese è stato il Cristo Risorto di Michelangelo in collezione Giustiniani a Bassano Romano a detta del curatore Benati: «Una scultura questa, rimaneggiata nel '600 che non si vede quasi mai e che è importante perchè con il Cristo nudo, Michelangelo, che, come già detto precedentemente, sentiva l'urgenza del rinnovamento della Chiesa e aveva preso posizione in tal senso, in seguito a questo nudo è stato accusato di fare un'arte contraria ai dettami cristiani. Esporre questo lavoro in questo contesto espositivo, sarà, pertanto, carico di significato».


Michelangelo Buonarroti è tornato Un sito aggiornato di tutte le mostre riguardarti il grande Michelangelo e i tag riguardanti il Cristo Giustiniani

Il Cristo Portacroce (背负十字架的基督 ) di Michelangelo a Nanchino (Tianjin Art Museum) - Renaissance Masters: The Art of Leonardo da Vinci, Michelangelo and Raffaello
(18 settembre 2018 - 18 novembre 2018)
Un'altra tappa in estremo oriente per il "Cristo porta Croce" che approva al Nanjing Museum a Nanchino poco a sud di Pechino, nella mostra dedicata al Rinascimento Italiano allestita dalla Fondazione culturale italiana Metamofus. La mostra presenta 68 opere dei tre "campioni" del rinascimento Italiano, tra cui "Il libro della Vergine "il padre e il figlio", "Bella principessa", "Ritratto di giovani donne" e altre sculture, tra cui il "Cristo porta croce". Inoltre, vi sono un gran numero di manoscritti di schizzo nelle esposizioni, che mostrano il processo creativo degli artisti creati da Leonardo, Michelangelo e Raffaello.Il Museo di Nanchino è stato il primo museo a livello nazionale istituito dal governo cinese. Fondato nel 1933, è tuttora uno dei più grandi musei in Cina e nel mondo.



In questo link in Cinese: 文艺复兴“三杰”天津展出 免费向公众开放

Michelangelo ritrovato” Pietrasanta(30 agosto 2019)
Si è tenuto il 30 agosto 2019 al MuSA di Pietrasanta il quarto dei sei appuntamenti del ciclo “Sulle orme di Michelangelo: dal passato alla contemporaneità”, volti a celebrare i 500 anni dall’arrivo di Michelangelo in Versilia.
L’incontro dal titolo “Michelangelo ritrovato?” si è sviluppato attraverso il dialogo tra Irene Baldriga, storica dell’arte e presidente dell’Anisa (Associazione nazionale insegnanti di storia dell’arte) e Claudio Capotondi, artista.
Irene Baldriga ha parlato della sua personale scoperta nel 2000 della prima versione del “Cristo della Minerva”, oggi “Cristo Portacroce” parte della Collezione Giustiniani. La scoperta dell’opera, che Michelangelo lasciò incompiuta, avvenne mentre eseguiva sopralluoghi in preparazione di una mostra a Roma nel 2001 (Toccar con mano una collezione del Seicento a cura di Silvia Danesi Squarzina).
Era il Duemila quando, dopo secoli di oblio, riaffiorava il Cristo Portacroce di Michelangelo, quella prima versione eseguita tra il 1514 e il 1516, e lasciata incompiuta dal Buonarroti per l’emergere improvviso nel marmo lattiginoso della guancia di una vena nera. Scolpita 500 anni fa, è la prima copia del Cristo Portacroce di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
Ricorda Irene Baldriga: “Fui fortunata, quel giorno incontrai un monaco che mi fece entrare in sacrestia. Lì notai la statua: era cementata su un altarolo e impolverata. Da vicino notai la vena nera che caratterizza il volto. Immediatamente la ricollegai alle fonti che parlano dell’abbandono da parte di Michelangelo per quel difetto”.
Claudio Capotondi, artista di fama internazionale che oggi vive e lavora a Pietrasanta, ha parlato invece dell’ultima Pietà, cosiddetta Rondanini, scolpita nel 1563 a Via Macel de Corvi pochi mesi prima di morire.
Il convegno ha il supporto scientifico di Promo PA Fondazione e il patrocinio dei comuni di Pietrasanta, Forte dei Marmi, Seravezza, Stazzema.


"Michelangelo divino artista"
Genova - Palazzo Ducale (dal 21 ottobre 2020 al 11 luglio 2021)

E' durata quasi un anno dal 21 ottobre 2020 all'11 luglio 2021, per le chiusure legate alle note vicende COVID19, la mostra "Michelangelo, divino artista" a Genova nelle sale di Palazzo Ducale. L’esposizione, curata da Cristina Acidini, con Elena Capretti e Alessandro Cecchi, si è concentrata, con sezioni dedicate, su alcune delle fasi cruciali della lunga vita del Buonarroti. Un itinerario nel quale le sculture e i disegni originali del grande artista sono state intervallate dalle opere dei suoi collaboratori, eseguite sotto la sua supervisione. Scultore, pittore, architetto e poeta, tra i massimi autori dell’arte mondiale di tutti i tempi, Michelangelo Buonarroti visse quasi 90 anni. Fin dagli esordi della sua straordinaria carriera entrò in contatto con personalità di indiscusso rilievo, appartenenti alla politica, alla religione, alla cultura. Una condizione presa in esame dall’imminente mostra genovese, con un invito a riflettere su alcuni particolari episodi. Michelangelo, infatti, ebbe l’opportunità di frequentare in gioventù due futuri papi ‒ Leone X e Clemente VII, di stirpe medicea ‒; ottenne incarichi da ben sette pontefici; fu in rapporti diretti con i grandi mecenati del suo tempo, da Lorenzo il Magnifico ai reali di Francia. Nonostante l’inamovibilità di gran parte della produzione autografa dell’artista, il progetto espositivo Michelangelo divino artista risulta interessante per la presenza a Genova di due importanti sculture. Si tratta del capolavoro giovanile Madonna della Scala, proveniente da Casa Buonarroti a Firenze, e del monumentale Cristo redentore (1514-1516) di Bassano Romano. Circa sessanta, inoltre, i disegni autografi e i fogli del carteggio esposti, che insieme a ulteriori scritti originali consentono di gettare nuova luce anche sul suo talento letterario. Per la prima volta in Liguria e tra i primi esempi a livello nazionale la mostra dilaterà i propri confini verso altre città, sulle tracce di una delle frequentazioni più importanti di Michelangelo, Giulio II che come Sisto IV, apparteneva alla famiglia Della Rovere di origine savonese. Questa esposizione è stata quindi il mezzo per la promozione e la riscoperta di autentici tesori nascosti, monumenti, palazzi e opere d’arte sparsi sul territorio Ligure; una mostra quindi che non catalizza esclusivamente verso di sé il patrimonio storico artistico, ma che diventa motivo di ricerca di quel patrimonio, dando al proprio visitatore un motivo per spostarsi e conoscere.“
     


 "La vena nera - una storia michelangiolesca"
Romanzo storico di Enrico Giustiniani e Gianni Donati (Sagep Editori, Genova, 2021)


Il diario di un prete corso rivoluzionario, vissuto nel XVII secolo, narra le vicende di un “Cristo Portacroce” iniziato da Michelangelo e poi da lui abbandonato per la presenza di una “vena nera” apparsa nel biancore del marmo a livello del volto. La statua fu poi rifinita nel 1620 da un giovane Gian Lorenzo Bernini per conto del marchese Vincenzo Giustiniani. Nel 1644 fu portata nella Chiesa di San Vincenzo a Bassano Romano e lì rimase dimenticata, ignorata perfino dai nazisti in ritirata nel 1944, fino al 1999 quando fu finalmente riattribuita a Michelangelo.
Intorno alla Statua ruoterà una storia d’amore tra una giovane ex prostituta di nome Clelia e Gian Lorenzo Bernini.
Nell’estate del 2016, due giovani: Åsa e Davide, con l’aiuto di un anziano abate, riusciranno a riannodare i fili spezzati che legarono una grande scoperta e una storia d’amore incompiuta che avrà un ultimo atto di… “resurrezione”.
Il libro è stato presentato a Genova il 29 giugno 2021 a Palazzo Ducale nella Sala del Minor Consiglio, in concomitanza della mostra "Michelangelo Divino Artista" dove era presente la statua del Cristo Giustiniani. Oltre gli autori, è intervenuta Serena Bertolucci direttrice del Palazzo Ducale, la violinista Katarzyna Wanisievicz e lo scultore Pablo Damian Cristi. Durante la presentazione sono stati letti alcuni brani del libro da Claudia Pavoletti.
recensione "La vena nera, una storia michelangiolesca" su www.HDE.press


 La vena negra, una historia Miguelangelesca
Novela histórica de Enrico Giustiniani y Gianni Donati (Phasar Editori, Firenze, 2024)


Una estatua “magnética” que se quedó intacta tras el paso de los Lansquenetes en el siglo XVI, de las hordas Jacobinas, de las tropas napoleónicas y, sobre todo, de los nazis del general Kesserling…¿Por qué?
El diario de un cura corso revolucionario que vivió en el siglo XVII cuenta la historia de un Cristo Portacruz empezado por Miguel Ángel y por él mismo dejado inacabado por la presencia de una veta negra en el mármol a la altura del rostro. La estatua fue acabada en 1620 por Gian Lorenzo Bernini por cuenta del marqués Vincenzo Giustiniani. En 1644 fue colocada en la Iglesia de San Vincenzo en Bassano Romano y allí se quedó, olvidada y abandonada hasta 1999, cuando fue atribuida a Miguel Ángel. En torno a la estatua se desarrollará una historia de amor entre Clelia, una joven ex prostituta, y Gian Lorenzo Bernini.
En el verano de 2016, dos jóvenes, Asa y Davide, con la ayuda de un anciano abad volverán a juntar todas las piezas de un gran descubrimiento, sacando a la luz también una historia de amor inacabada que florecerá como un acto de resurrección…




The black vein. The Michelangelo mystery
Historical novel by Enrico Giustiniani and Gianni Donati (Phasar Editori, Firenze, 2024)


A "magnetic" statue, which remained intact during the passage of the Landsknechts in the sixteenth century, then of the Jacobin hordes, of Napoleon's troops but, above all, of General Kesserling's Nazis... Why?
The diary of a revolutionary Corsican priest, who lived in the 17th century, tells the story of a Christ Carrying the Cross begun by Michelangelo and then abandoned by him because of the presence of a "black vein" which appeared in the white marble at the level of the face. The statue was later finished in 1620 by a young Gian Lorenzo Bernini on behalf of the Marquis Vincenzo Giustiniani. In 1644 it was taken to the Church of San Vincenzo in Bassano Romano and there it remained forgotten and ignored until 1999 when it was finally attributed to Michelangelo.
Interwoven with the story of the statue will be a tale of love between a young ex-prostitute named Clelia and Gian Lorenzo Bernini.
In the summer of 2016, two young people: Åsa and Davide, with the help of an elderly abbot, will reconnect the broken threads that linked a great discovery and an unfinished love story that will have a final act of resurrection...








 


Mensile del territorio di Lerici (ANNO 14- NUMERO 08, 1° AGOSTO 2021)

Sono stati presentati sabato 4 settembre 2021 i libri "La vena nera, una storia michelangiolesca" ed il "Discorso sopra il Cristo Giustiniani. Oltre gli autori Enrico Giustiniani, Gianni Donati e Nicoletta Giustiniani, sono intervenuti Claudia Pavoletti che ha teatralizzato alcuni bravi dei testi coreografati da alcuni figuranti accompagnata da alcuni interventi musicali. E' intervento anche don Cleto Tuderti già priore del Monastero di San Vincenzo Martire a Bassano Romano dove è conservato il Cristo michelangiolesco. In quell'occasione alla presenza di Girolamo Luca Muniglia Giustiniani e dello scultore Pablo Damian Cristi si è sottoscritto l'accordo per la committenza per il "Terzo Cristo Giustiniani", una nuova statua che con le due michelangiolesche costituirà una "Trinità" scultorea.

"Dietro le quinte" (della presentazione) scoprendo Genova di Marco Cazzullo
Famiglie Giustiniani il gruppo facebook delle "famiglie" Giustiniani, un resoconto dell'evento

 



Discorso sopra il Cristo Giustiniani di Michelangelo Buonarroti
il saggio storico-artistico di Nicoletta Giustiniani sulla prima versione Michelangiolesca del Cristo portacroce di Bassano Romano (Phasar Edizioni - 2021)


Nel 1514 l’allora trentanovenne Michelangelo, già assoluto e indiscusso protagonista del Rinascimento Italiano, si impegna con un gruppo di gentiluomini Romani, tra cui Metello Vari, a consegnare: «una fighura di marmo d’un Christo, grande quanto el naturale, ingnudo, ritto, chor una chroce in braccio, in quell’attitudine che parrà al detto Michelagniolo».

Questo volume, che potremmo definire “quasi” un romanzo storico, traccia le vicende della committenza Michelangiolesca di un “Cristo Portacroce” tra il 1514 ed il 1522. Un lavoro che si rivelò alquanto tormentato che portò alla creazione non di una, ma di due statue. La più nota, esposta a sinistra dell’altare maggiore della chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva, è in realtà una “seconda versione” di una prima, creduta perduta, abbandonata dal Maestro che scolpendo si accorse di una vena nera nel marmo proprio all’altezza del volto: «reuscendo nel viso un pelo nero hover linea…». Una statua di un Cristo alto poco più di due metri, dalla forma di un uomo nudo, maturo, nel pieno del vigore fisico che tiene nella destra la Croce e nella sinistra il suo sudario.
Già dal titolo, dal formato 21x15 non usuale per i “libri d’arte”, e sfogliando le pagine del volume, ci si accorge che il testo sia agile e ben strutturato. Leggendo l’introduzione, si comprende anche perché l’autrice abbia scelto la formula “Discorso”. Un omaggio al marchese Vincenzo Giustiniani vissuto a cavallo del Cinque-Seicento, che acquistò, intorno al 1607 sul mercato antiquariale, la “prima versione” Michelangiolesca e che fece rifinire, molto probabilmente, da Gian Lorenzo Bernini.
Vincenzo Giustiniani è personaggio molto in vista nella Roma di inizio Seicento, banchiere ma soprattutto mecenate e collezionista. Non è un artista, ma un uomo dedito alla cultura, al bello e alla piacevolezza del vivere. Il suo gusto è documentato da i suoi numerosi “Discorsi” dedicati: alla pittura, alla musica, all’architettura, alla scultura, ma anche alla caccia e all’arte di viaggiare, agli usi e costumi di Roma e Napoli e all’arte di servire in tavola. “Discorsi” per capire e far capire. La sua prospettiva è quella dell’intenditore non quella del teorico.
Stilisticamente il saggio, pur essendo rigoroso dal punto di vista scientifico, con i giusti riferimenti e note storiche a piè di pagina, se ne differenzia per la struttura. Il libro è una sorta di racconto intimistico ricco di immagini, probabilmente tratto da vicende che la giovane autrice, appartenente alla stessa famiglia Giustiniani, dimostra di ben conoscere.
Non è un saggio storico-artistico “su Michelangelo”, ma la storia di “una statua di Michelangelo”. La storia di un Cristo risorto, che uscito nudo dal suo sepolcro con in mano i segni del suo martirio, ha il volto sereno, quasi disteso, solcato da una “vena nera” sulla guancia sinistra, come una lacrima di dolore per la sofferenza subita da Dio-uomo, ma con la bocca socchiusa “come se respirasse” , improntata ad un lieve sorriso, quello di un Dio benigno che si rivolge con fiducia e speranza all’umanità redenta.
Il “discorso sul Cristo Giustiniani” è un testo scritto in modo molto attuale, direi “fresco”, non autoreferenziale, non tipicamente accademico. Nei primi capitoli sono descritte le vicende della committenza michelangiolesca, ben documentate dai carteggi tra Michelangelo, i suoi committenti ed altri artisti, oltre che da alcune riflessioni sui fondamentali contributi degli storici dell’arte che più di altri hanno avuto modo di studiare la statua. La seconda parte del testo, è sicuramente più innovativa e moderna, del tutto inusuale per un libro d’arte, in cui l’autrice si sofferma, in chiave quasi giornalistica, sulle mostre che hanno accolto la statua del Cristo Giustiniani di Bassano Romano ed alcune interessanti curiosità che rendono la lettura sicuramente piacevole e soprattutto adatta a tutti i lettori, che sicuramente saranno poi stimolati ad andare a visitare i due capolavori Michelangioleschi ben descritti nel libro.
Gli ultimi capitoli sono dedicati ad un ritratto del marchese Vincenzo e alle vicende storiche del ramo Giustiniani di Roma. Un ultima parte è dedicata ad un “terzo” Cristo portacroce, una nuova committenza della famiglia Giustiniani, a cura dell’artista italo-argentino Pablo Damian Cristi, che ispirato ai due michelangioleschi, sta realizzando a Carrara.
recensione "Discorso sopra il Cristo Giustiniani di Michelangelo Buonarroti" su www.HDE.press
recensione "Discorso sopra il Cristo Giustiniani di Michelangelo Buonarroti" su www.culturelite.com di Giuseppe Massari


Il Cristo Porta Croce di Gravina

La Concattedrale di Santa Maria Assunta è il principale luogo di culto cattolico di Gravina in Puglia, sulla sommità del timpano del portale del lato sud della Basilica Cattedrale di Gravina di Puglia è posto come elemento decorativo il Cristo risorto o Cristo Portacroce. L’incisione latina riporta la seguente frase: "Dopo esser morto, ridestandomi dalla tomba, ascesi al cielo e quella che voi chiamate "morte" per me fu la vita".
Fonti storiche più o meno accreditate asseriscono, senza aver mai, purtroppo, fornito elementi certi sulla sua datazione, sulle maestranze che la realizzarono, che quella statua fu collocata dove, ancora, attualmente la si può ammirare, dopo il crollo della torre campanaria avvenuto nel 1558. Cosa abbia di tanto particolare o di tanto fulgido retaggio storico quel manufatto in pietra è presto detto. Replica, modestamente, senza forzature di sorta, senza esagerazione campanilistica e retorica, l'opera che, Metello Vari, nel 1514, commissionò a Michelangelo Buonarroti, per la Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma, retta dai figli di San Domenico, dell'Ordine dei Predicatori, e dove sono custodite le spoglie mortali del gravinese Papa Benedetto XIII.
La storia delle “due” statue Michelangiolesche è ormai nota, qui vogliamo evidenziare che nello stesso periodo si inserisce questo Cristo gravinese che si lega ai Giustiniani per la presenza di mons. Vincenzo Giustiniani, vescovo della Diocesi di Gravina dal 1593 al 1614, che fece costruire, tra l'altro, il primo Seminario vescovile, la chiesa della Madonna delle Grazie, con la maestosa facciata, che riproduce il suo stemma episcopale e la chiesa di Santa Cecilia.
L'opera iniziale, inserita nell'alveo di alterne vicende storiche, finisce col ricollegarsi e ricongiungersi a momenti salienti della vita Gravinese religiosa e sacra. 


Durante l'annuale celebrazione della festa in onore della Madonna delle Grazie dal 30 agosto all'8 settembre 2021, è stato presentato dal giornalista Giuseppe Massari, presso il salone parrocchiale, il libro "Discorso sopra il Cristo Giustiniani di Michelangelo Buonarroti" di Nicoletta Giustiniani. E' intervenuto il parroco Giovanni Bruno e l'artista Gravinese Massimo Loglisci autore di un pregevole modello in scala, in pietra locale, del Santuario della Madonne delle Grazie
Si ripete l'annuale e tradizionale festa in onore della Madonna delle Grazie Gravina Life del 30 agosto 2021

 



Michelangelo alla genovese,
il progetto scultoreo di Pablo Cristi Damian consistente nella realizzazione di una scultura in marmo statuario di Carrara con inserimenti di dettagli significativi in ardesia di Lavagna raffigurante un Cristo Porta croce sullo stile di quelli Michelangioleschi della Minerva e di Bassano Romano.

Arte: il terzo Cristo Giustiniani di Michelangelo sarà realizzato a Carrara da Pablo Damian Cristi La Gazzetta di Massa Carrara (31 luglio 2021)
Pablo Cristi erede di Michelangelo: dopo 500 anni finirà l’opera incompiuta del maestro La Voce Apuana (1 agosto 2021)
Pablo Damian Cristi realizzerà a Carrara il Cristo incompiuto di Michelangelo Il Tirreno (3 agosto 2021)
Arte: il terzo Cristo Giustiniani nascerà a Carrara La Gazzetta di Massa Carrara (3 agosto 2021)
"Torano Notte e Giorno" dà la notizia: a Carrara la presentazione del Cristo commissionato da un'antica famiglia genovese La Gazzetta di Massa Carrara (7 agosto 2021)
 


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il Monastero di S.Vincenzo prima del restauro (1945) ed oggi


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sito ufficiale del Monastero di S.Vincenzo a Bassano Romano


s.vincenzo
S.Vincenzo - Monastero di S.Vincenzo. La leggenda vuole che il pittore per il mantello del Santo si sia ispirato alla forma dell'isola di Chios che diede i natali al marchese Vincenzo Giustiniani committente del dipinto


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