LA COLLEZIONE GIUSTINIANI
Annibale Carracci


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Paesaggio fluviale con castello e ponte - Annibale Carracci
Crocifissione con le tre Marie e S. Giovanni - Annibale Carracci
Sacra Famiglia - Annibale Carracci
Madonna con il Bambino e l'agnello - Ludovico Carracci


Paesaggio fluviale con castello e ponte - Annibale Carracci
Il dipinto non è con certezza rintracciabile nell'inventario di Vincenzo Giustiniani del 1638, come già notato (POSNER [1971], vol. II, p. 33, n. 74); fu inoltre acquistato nel 1815 dal re di Prussia, ma separatamente e non in blocco con le altre opere della collezione Giustiniani (VERZEICHNISS [1931], p. 86, n. 372). La sua provenienza dalla raccolta romana è comunque confermata dai sigilli visibili sulla tela prima del rifodero (comunicazione di E. Schleier a S. Danesi Squarzina). Nell'inventario di Vincenzo sono citati alcuni altri paesaggi di Annibale, per alcuni dei quali è stata proposta una identificazione (SALERNO [1960], II, nn. 103-104); notevole è la presenza anche di altri paesaggi di scuola bolognese, spesso usati come sopraporte. L'unica citazione inventariale che sembra attagliarsi in maniera precisa al dipinto di Berlino è rintracciabile in una lista di quadri della collezione Farnese, che nel 1662 vengono spediti dal palazzo di Roma a quello di Parma. Nonostante queste incertezze sulla storia del dipinto, comuni a molti dipinti di paesaggio, spesso descritti frettolosamente negli elenchi delle raccolte, l'attribuzione ad Annibale non è stata messa in discussione, se non sporadicamente (FORATTI [1913], pp. 244-245). Più articolato si è dimostrato il dibattito sulla datazione del dipinto, che con difficoltà si riesce ad inserire nel percorso di Annibale. La pratica della pittura di paesaggio costituisce probabilmente per Annibale Carracci, negli anni dell'Accademia bolognese, un'attività parallela alla raffigurazione delle scene quotidiane, un'ulteriore incursione nel terreno dei "generi", praticata con la mentalità e la forza espressiva riservata alla pittura di storia (MAHON [1957]; POSNER [1971]). Alla seconda metà degli anni Ottanta vanno riferiti alcuni importanti tasselli per il paesaggio carraccesco, che mostrano la progressiva assimilazione dei modelli correnti. Nel Paesaggio con festa campestre (Marsiglia, Musée des Beaux Arts) da collocarsi fra 1585 al 1587, sono ancora evidenti i riferimenti all'impostazione elegante e neocortese di Niccolò dell'Abate, mentre nella Visione di S. Eustachio (Napoli, Capodimonte) e nei Paesaggio con scena di caccia e Paesaggio con scena di pesca del Louvre il pittore sembra concentrato sugli esempi nordici e veneziani. L'immediatezza rappresentativa, la progressiva aderenza del dipingere in studio allo schizzo "preso dal naturale" si fanno ancora più evidenti nel Paesaggio di Washington (National Gallery of Art, Kress Collection), in cui le dimensioni delle figure sono assai ridotte rispetto all'ampiezza conferita alla sponda fluviale e al grande tronco obliquo che taglia la composizione, e agli analoghi paesaggi di Monaco (WHITFIELD [1980]), opere da considerare compiute a ridosso del 1590. Le stesse caratteristiche si ritrovano nei paesaggi più sintetici e originali del fregio con Storie di Enea in palazzo Magnani a Bologna, in special modo nel riquadro con Romolo e Remo allattati dalla lupa, già a lui riferito da Malvasia, poi considerato di Agostino da gran parte della critica moderna e più di recente restituito ad Annibale in maniera del tutto convincente (OTTANI CAVINA [1986-1988]). Gli affreschi di palazzo Magnani sono stati il punto di riferimento stilistico per gli studiosi che si sono orientati verso una datazione precoce (MAHON [1957]; Cavalli in BOLOGNA [1962]), anche se alcuni aspetti del paesaggio di Berlino, come il maggiore controllo sulla chiarezza strutturale del paesaggio e la gamma più fredda dei colori, hanno spesso fatto ipotizzare una datazione successiva, a dopo il 1593 (POSNER [1971]). Uno spostamento al periodo romano, quindi dopo il 1595, già proposto da Posner ([1971], vol. II, p. 33, n. 74), è stato recentemente rinsaldato dall'osservazione che il ponte sullo sfondo possa ispirarsi a un monumento osservato nella città pontificia, il Ponte Fabricio (WHITFIELD [1980]). Le figurine sulle barche che animano il paesaggio sono state avvicinate ai tipi inseriti da Annibale nei suoi paesaggi più maturi, come per esempio la Fuga in Egitto all'interno della serie delle Lunette Aldobrandini (SCHLEIER [1985]); che il Paesaggio fluviale con ponte e barche fosse considerato fra gli esempi più rappresentativi del paesaggio carraccesco è poi provato dalla ripresa attuata da Giovan Francesco Grimaldi nella decorazione ad affresco della piccola Galleria in palazzo Peretti Fiano Almagià (SCHLEIER [1968]). Tuttavia il paesaggio di Berlino sembra ancora per alcuni aspetti indicare un momento di transizione fra gli studi giovanili e la formula delle Lunette Aldobrandini. Le figure sono appena abbozzate e non particolarmente armoniose, punteggiano tutto lo spazio centrale invece che scandirlo come avviene nei paesaggi più maturi. A Roma Annibale, dopo la lunga e giovanile pratica nei "paesi", guarda al Raffaello delle Stanze e della Farnesina, ma anche a quello delle Logge Vaticane e recupera l'ispirazione dei paesaggi all'antica di Polidoro da Caravaggio, geniale inventore di spazi naturali creati dalla poesia e dalla evocazione della storia. In questo modo trova e fissa, senza dover ricorrere alla rappresentazione delle antichità, la formula del paesaggio solido e solenne, costruito architettonicamente, scenario ampio e dignitoso dell'agire storico, come avviene nel Paesaggio con S. Giovanni Battista e nel Riposo, paesaggi datati intorno al 1597-1598 (POSNER [1971], vol. I, p. 117, pl. 88 e pl. 91). Questi, con la loro chiarezza strutturale, preludono veramente al Paesaggio con la fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphilj), una delle sei "lunette Aldobrandini", commissionate dal cardinale Pietro per la cappella del suo palazzo in via del Corso, che aveva acquistato nel 1601 (HIBBARD [1964]; GINZBURG-CARIGNANI [1996], p. 132). Il paesaggio di Berlino mostra aspetti contrastanti: la prontezza d'esecuzione dei paesaggi giovanili, ma nello stesso tempo la rinuncia alla luce rossastra e accattivante e la moderazione nel ricorso agli episodi cortesi del paesaggio manierista. L'emergere della volontà di semplificazione e di chiarezza nell'impostazione spaziale farebbe situare il paesaggio verso lo scadere del secolo, in una fase intermedia del percorso verso la solidificazione della formula raffaellesca di paesaggi dall'orizzonte disteso. (Francesca Cappelletti)

Crocifissione con le Tre Marie e S. Giovanni - Annibale Carracci
Firmata e datata 1594, la Crocifissione di Annibale Carracci figura negli inventari di Vincenzo Giustiniani come "Un quadretto piccolo d'un crocifisso con la Madonna tramortita due Marie, e S. Giovanni che piange dipinto in tela alta palmi 1 e 1/2 Larga palmi 1 incirca (di mano di annibale Caracci) con cornice intagliata tutta d'orata" (SALERNO [1960] p. 137, II, n. 53). Celebrato nella Pinacotheca di Giovanni Michele Silos del 1673 come opera ancora appartenente alla collezione Giustiniani (SILOS [1673], epigramma CLXXXVII), il dipinto è però già menzionato nell'inventario post mortem del cardinale Benedetto del 1621: "un quadrecto con nostro Signore in croce con la madonna alli piedi svenuta, con cornice dorate" (DANESI SQUARZINA [1997], p. 789, n. 203). Il piccolo quadro di Annibale è del resto particolarmente emblematico di quel carattere profondamente devozionale che connotava la raccolta del cardinal Giustiniani (DANESI SQUARZINA [1997]); lo stile del pittore emiliano, intriso a questa data di esperienze pittoriche veneziane, risulta così perfettamente in accordo con le preferenze lombardo-venete del proprietario, da stimolare alcune considerazioni sui rapporti tra Benedetto Giustiniani ed Annibale sulle quali si ritornerà. Nel corso del terzo decennio del Seicento, dopo la morte di Benedetto ed il passaggio del dipinto alla collezione di Vincenzo, la Crocifissione venne incisa da Cornelis Bloemaert (ROMA [1986], pp. 56-58, n. XXIV), artista largamente impegnato nella realizzazione della Galleria Giustiniana e familiare di Vincenzo presso il cui palazzo trovò fissa ospitalità negli anni romani (ALGERI [1985], pp. 71-99; CROPPER-DEMPSEY [1996]). La tavola del Bloemaert tuttavia, curiosamente non figura tra quelle del secondo volume della Galleria Giustiniana dedicate alla raccolta di dipinti di Vincenzo. Questa singolare assenza è stata collegata alle parole del Baldinucci il quale, nella Vita di Bloemaert, a proposito dell'incisione dalla Crocifissione di Annibale, scriveva: "Intagliò poi la bellissima istoria della Crocifissione del Signore, dipinta da Annibal Carracci, nella quale fra le altre figure si vede Maria santissima a piè della Croce, quasi giacendo tramortita. Questo, che fu uno dei più bell'intagli, che partorisse il bulino di questo artefice, fu mandato in Francia, a cagionde di non aver mai voluto il maestro del Sacro Palazzo darne il publicetur, con dire, esser questo contra la chiesa, che dice: stabat, non jacebat mater dolorosa" (BALDINUCCI [1681-1728], vol. V, p. 600; cfr. SQUARZINA [2001]). L'invenzione di questa iconografia di altissima intensità drammatica non si deve per la verità ad Annibale, costui infatti prese ispirazione e modello, come è stato già più volte riconosciuto, da un'incisione del fratello Agostino eseguita nel 1582 e liberamente tratta dalla pala di Paolo Veronese per S. Sebastiano a Venezia del 1570 circa (POSNER [1971a], vol. II, n. 81, p. 34; DE GRAZIA [1984], n. 107, pp. 129-130); BOLOGNA [1986], n. 92, p. 281). Già Agostino tuttavia, nella sua traduzione incisa, aveva modificato notevolmente l'impianto compositivo della pala del Veronese adottando un taglio più squadrato, avvicinando di conseguenza la figura del Cristo maggiormente ai dolenti e conferendo al Crocifisso una monumentalità e potenza plastica assente nella pala veneziana, nonché un movimento drammatico nello svolazzo del perizoma del Cristo e nei capelli della Maddalena, ripresi da Annibale nella sua versione dipinta. Quest'ultimo, pur prendendo le mosse dalla versione del fratello, trasformò la composizione portando in primo piano il gruppo delle tre Marie e retrocedendo in basso a sinistra S. Giovanni; in tal modo i due punti focali della scena drammatica divengono le tre teste delle dolenti ed il corpo del Cristo, illuminato da una luce lunare; le indicazioni topografiche presenti sullo sfondo della stampa di Agostino, vennero abbandonate in favore di un paesaggio "sentimentale" avvolto nella penombra, rischiarato dal solo bagliore rossiccio sul fondo al centro, secondo una tecnica pittorica e compositiva largamente sperimentata dal pittore in questi anni di meditazione sulla pittura veneziana (si pensi all'Assunzione della Vergine della Pinacoteca Nazionale di Bologna o alla Resurrezione di Cristo di Parigi, Louvre). La datazione dell'opera al 1594 ne fa un caposaldo dello sviluppo stilistico di Annibale nel periodo immediatamente a ridosso del definitivo trasferimento a Roma; inserita da Donald Posner a pieno titolo all'interno di quell'ampia parentesi venezianeggiante già inaugurata nella prima metà degli anni Ottanta e protrattasi fino al 1595, nel segno dei modelli veronesiani (POSNER [1971a], vol. I, pp. 44-52), la Crocifissione venne giudicata da Denis Mahon come altamente emblematica di un successivo sviluppo di affrancamento dai modelli veneziani nel senso di una maggiore monumentalità e drammaticità (MAHON [1957], pp. 267-282); la lettura di Mahon è stata in seguito ripresa dal Posner nella scheda di catalogo della mostra di Bologna ove si rilevavano una monumentalità e solennità sorprendenti per un dipinto di così piccole dimensioni, e si ipotizzava che il quadro fosse stato eseguito da Annibale per suo piacere ed interesse personale a Bologna, e portato con sé in seguito a Roma (BOLOGNA [1986], p. 281, n. 92). Al di là dell'accertata ispirazione a Veronese, ma fortemente mediata dalla grafica di Agostino, la Crocifissione sembra stravolgere dunque l'impianto del modello compositivo per lasciare spazio ad una spiritualità che deve forse più alla Pietà del Correggio di Parma che al Veronese la sua intima essenza; soprattutto nelle tre figure a destra e nell'inginocchiato a sinistra Annibale sembra infatti "correggere" in inflessione parmense l'invenzione del Veronese tradotta da Agostino. La meditazione sul capolavoro dell'Allegri, del resto, non abbandonò mai Annibale nel corso di tutta la sua attività riproponendosi ancora ben oltre il trasferimento a Roma negli affreschi del Camerino Farnese (1595-1597), nell'incisione della Pietà o Cristo di Caprarola (1597), o nella Pietà della National Gallery di Londra (1604-1606 circa) per fare solo qualche esempio. Come ha sottolineato Silvia Danesi Squarzina (DANESI SQUARZINA [1997], p. 775), la presenza documentata fin dall'inventario del 1621 della Crocifissione del 1594 in collezione Giustiniani pone il problema dei primi rapporti tra Benedetto ed i Carracci. All'ipotesi di Posner, che Annibale avesse portato con sé il quadro a Roma nel 1595, Silvia Danesi Squarzina aggiunge la proposta di un primo contatto precoce del cardinal Giustiniani con Annibale per il tramite del cardinale Paolo Camillo Sfondrato, legato a Bologna dal 1591 al 1593, amico del cardinale Benedetto, con il quale scambiò un Ecce Homo del Sodoma, e protettore dei Carracci. Un ulteriore suggerimento, in via del tutto ipotetica, potrebbe venire dai recenti ritrovamenti epistolari effettuati da Roberto Zapperi (ZAPPERI [1986]), i quali indicherebbero con chiarezza un primo breve soggiorno di Annibale e Agostino a Roma nell'autunno del 1594, per firmare il contratto degli affreschi di palazzo Farnese; i fratelli vennero richiamati subito in patria dalle numerose commissioni ancora da portare a compimento prima del definitivo trasferimento, e non ebbero il tempo di lasciare nessun saggio della loro arte nella città papale, ma un'opera devozionale di piccolo formato come la Crocifissione poteva ben essere eseguita, o terminata, nell'arco del breve tempo romano. Il fatto che il dipinto non venga citato dalle fonti antiche infatti, come rilevato da Mahon (BOLOGNA [1956], n. 85), si deve con tutta probabilità alla sua destinazione privata e induce a ritenere che l'opera non abbia subito troppi spostamenti o cambi di proprietà nel corso della vita di Annibale. (Caterina Volpi)

Sacra Famiglia - Annibale Carracci
Il dipinto viene esposto nell'intento di documentare la presenza di copie nella collezione Giustiniani, frequente come in tutte le raccolte secentesche. Si tratta di una delle tante repliche di un prototipo carraccesco, rappresentante la Madonna con le ciliegie, da confrontare con il dipinto oggi conservato al Louvre, inv. 194 (LOIRE [1996], pp. 124-127, con ampia documentazione sulla diffusione di tale invenzione di Annibale). L'iconografia del dipinto deriva da una tradizione ben radicata nel Cinquecento e riscontrabile già in Mantegna; il rosso delle ciliegie ha un chiaro significato di prefigurazione della passione di Cristo. La piacevolezza dell'invenzione e la sua facile adattabilità ad un contesto devozionale privato giustifica l'enorme diffusione e la produzione del gran numero di repliche e varianti di tale soggetto (sul fenomeno della divulgazione del tema della Madonna delle ciliegie in epoca cinquecentesca e sul successo dell'interpretazione che ne diede Leonardo si veda, per esempio, COLLOBI RAGGHIANTI [1989]). Non vi sono dubbi in merito alla provenienza Giustiniani del dipinto qui esposto; la menzione dell'opera tra i beni del cardinale Benedetto (DANESI SQUARZINA [1997]), inoltre, permette di retrodatare a prima del 1621 l'ingresso dell'opera nella collezione lasciando così spazio all'ipotesi che il suo acquisto sia avvenuto durante gli anni della legazione a Bologna (1606-1611) o durante il viaggio a Ferrara nel 1593. L'esemplare di Parigi (sulla cui autografia sarebbero opportune ulteriori indagini) è stato datato da Posner al 1593 (POSNER [1971a], vol. II, p. 30, n. 71). La qualità del quadro di Berlino a nostro avviso è la stessa di quello di Parigi. In quest'ultimo, peraltro, l'atteggiamento del collo e della spalla della Madonna risulta più rigido, meno naturale. La collocazione del dipinto, all'interno del palazzo, muta negli anni di passaggio dalla proprietà di Benedetto a quella di Vincenzo; nell'appartamento del cardinale, la tela era esposta in una piccola stanza insieme ad un gruppo di altri dipinti in gran parte dedicati alla Vergine, tra i quali una copia da Raffaello, due ovati del Mastelletta rappresentanti la Madonna e la Maddalena, nonché "un quadro con la madonna in tondo con nostro Signore in braccio e San Giovanni pucto, senza cornice" (inv. 1621, n. 92), forse identificabile con "il […] quadro tondo della Madonna di Giulio Romano" che Benedetto lasciò per legato testamentario al cardinale Ubaldini (DANESI SQUARZINA [1994]). Successivamente, con Vincenzo, il dipinto viene spostato nella "2a Stanza de quadri antichi". La scheda di S. Loire sul dipinto di Annibale oggi a Parigi offre notizie su un'antica copia perduta presso l'Abbaye-aux-Hommes di Caen: "le figure della Vergine, del Bambino, di S. Giuseppe, passavano per essere ritratti di Gabrielle d'Estrées, di Henri IV e del duca di Vendôme, loro figlio naturale" (LOIRE [1996], p. 126). Si tratterebbe della moda di ritratti di contemporanei inseriti in quadri religiosi; Alessandro di Vendôme era stato sin dalla nascita nominato governatore di Caen, dove fece il suo ingresso nel 1617; i monaci di Saint-Étienne avrebbero aspirato a onorare l'illustre visitatore. L'aneddoto viene riferito da Loire per confermare la presenza in Francia, sin dal primo ventennio del Seicento, del quadro del Louvre. Ma vi è un elemento che viene a complicare ulteriormente la vicenda; nel volto del S. Giuseppe, che appare nella Madonna delle ciliegie del Louvre, è ritratta senza possibilità di dubbio la fisionomia di Henri IV; un confronto col viso del S. Giuseppe della tela Giustiniani a Berlino rende più evidente la differenza somatica; la modesta copia dei Musei Civici di Padova, inv. 264 (Banzato in PADOVA [1988], p. 100, n. 143), presenta un S. Giuseppe simile alla tela Giustiniani. Se non possiamo ritenere la tela Giustiniani di mano di Annibale, come asserisce l'inventario, riteniamo sia corretto supporre la derivazione da un originale perduto delle varie repliche finora note. Un'ultima considerazione andrebbe fatta in merito alla notizia (riportata anche da LOIRE [1996], p. 126) fornita dall'Oretti relativa alla presenza di un Madonna delle ciliegie in "Casa Todeschi dalle Muratelle" a Bologna ("La Madonna col Bambino in piedi, che con una mano porge ciliegie a S. Gioseppe mezze figure quanto il naturale pittura scelta e conservata di Annibal Carracci", in M. Oretti, Le pitture nelle chiese della città di Bologna descritte da Marcello Oretti nell'anno 1767, Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, ms.). È probabile che all'origine dei due dipinti di Berlino e di Parigi ci fosse un originale perduto di Annibale, forse identificabile proprio con quello di cui ci dà notizia l'Oretti. (Irene Baldriga - Silvia Danesi Squarzina)

Madonna col bambino - Ludovico Carracci
Il dipinto, oggi conservato presso i depositi della Gemäldegalerie di Berlino, figura nell'inventario di Vincenzo Giustiniani del 1638 ove è menzionato come: "Un quadretto piccolo di una Madonnina vestita di bianco con Christo bambino che accarezza un agnello in un paesino depinto in tela alt. pal. 2 1/2 lar. pal 1 1/2 di mano di Ludovico Carracci senza cornice" (SALERNO [1960], p. 137, II, 56). Luigi Salerno considerava l'opera perduta, ma Gail Feigenbaum, nella sua monografia su Ludovico Carracci, la individuava correttamente nel quadro conservato presso i depositi del Bodemuseum ed ipotizzava che fosse stato eseguito da Ludovico per il cardinale Benedetto negli anni della sua legazione a Bologna (1606-1611), ed in seguito portato a Roma (FEIGENBAUM [1984], n. 122). Grazie alla pubblicazione degli inventari di Benedetto Giustiniani, Silvia Danesi Squarzina ha provato l'appartenenza del dipinto al cardinale e ha messo a confronto l'opera del Carracci con l'incisione trattane da Cornelis Bloemaert per il secondo volume della Galleria Giustiniana (DANESI SQUARZINA [1997], p. 769, figg. 59 e 60); in quest'ultimo inventario la Madonna di Ludovico figura infatti al n. 116 come: "Un quadrecto della Madonna con nostro Signore che tiene un agnello" (DANESI SQUARZINA [1997], p. 787, I, 116). L'incisione di Bloemaert è ricordata con particolare menzione anche dal Malvasia che, ponendola accanto a quelle tratte da Madonne di Raffaello, Tiziano, Andrea del Sarto, Giulio Romano e Luca Cambiaso presenti nella stessa collezione di Vincenzo, ne segnalava la grazia ed erudizione: "Fra le otto Madonne intagliate tutte insieme e compagne, da Bloemarte, e dedicate al Marchese Giustiniano, che di tutte possiede gli originali; cioè una di Rafaelle, due di Tiziano, due di Andrea del Sarto, una di Giulio Romano, ed una del Cangiaso; la tanto graziosa, ed erudita di Ludovico onc. 9 e mez. onc. 7 scars. per dirit." (MALVASIA [1648, ed. 1841], vol. I, p. 73). All'interno della collezione Giustiniani l'opera di Ludovico doveva spiccare per valore ed importanza se ancora nel 1673 Giovanni Michele Silos sceglieva di dedicargli uno dei suoi epigrammi "Christus infans in Matris sinu Agno blanditur" (SILOS [1673], n. CLXXXIX). L'enfasi data dagli epigrammi del Silos, che insieme alla Madonna e Bambino ricorda, nella medesima collezione, un altro dipinto di Ludovico raffigurante S. Pietro e l'ancella, anch'esso menzionato nell'inventario del 1621 (DANESI SQUARZINA [1997], p. 787, n. 140), costituisce un'importante capitolo della fortuna critica del Carracci a Roma, fortuna che sembra inaugurata proprio dalle acquisizioni del Giustiniani effettuate a cavallo del primo e secondo decennio del Seicento e che trova il suo apice nella commissione del S. Sebastiano gettato nella cloaca da parte della famiglia Barberini nel 1612 (G. Perini in BOLOGNA [1993], pp. 278-281). È infatti del tutto plausibile che entrambi i dipinti della Madonna e di S. Pietro vennero commissionati dallo stesso Benedetto a Bologna, negli anni della sua legazione, tra il 1606 ed il 1611, date che del resto ben si accordano con lo stile del quadro in questione. Benedetto si dimostrò sempre sincero ammiratore della pittura emiliana, come testimoniano i numerosissimi quadri dei Carracci e della loro scuola, in particolare di Francesco Albani, presenti nella sua collezione, e come fanno fede le testimonianze del Malvasia, che ne ricorda la stretta relazione con il pittore fiammingo Denis Calvaert, maestro del Reni, del Domenichino e dello stesso Albani (MALVASIA [1648, ed. 1841], pp. 200-201), nonché la lettera inviata da Ludovico a Ferrante Carlo nel 1608 in cui si fa fede di un'impegnativa commissione richiestagli dal cardinal legato che teneva particolarmente occupato l'artista (DANESI SQUARZINA [1997], p. 775). Accanto alla Madonna e al S. Pietro, negli inventari di Benedetto è citato un terzo dipinto di Ludovico raffigurante la Madonna, il Bambino e santi. Già pubblicato da Heinrich Bodmer (BODMER [1939], p. 137, n. 82), e da Francesco Arcangeli (BOLOGNA [1956], n. 34) come appartenente alla collezione di Lord Lansdowne, riconsiderato in seguito da Denis Mahon (MAHON [1957], p. 206), da Sidney Freedberg (FREEDBERG [1983], pp. 115-116, fig. 141), dalla Feigenbaum (FEIGENBAUM [1984], n. 121) e dalla Danesi Squarzina (DANESI SQUARZINA [1997], p. 775, fig. 71), quest'ultimo dipinto di Ludovico della collezione Giustiniani, oggi in collezione del marchese di Bowood, Bowood House, è concordemente datato al 1607 circa, in seguito alla segnalazione di Mahon che, notando la data 1607 apposta sulla cornice attuale ottocentesca del dipinto, supponeva che questa tramandasse il ricordo della data un tempo apposta sulla cornice originale. Queste considerazioni inducono dunque a datare la Madonna con il Bambino e l'agnello, concordemente a quanto sostenuto dalla Feigenbaum e dalla Danesi Squarzina, agli anni della legazione di Benedetto a Bologna, intorno al 1607-1609, e a considerarla una delle committenze effettuate direttamente dal cardinale al maestro bolognese. Come dimostra un raffronto tra la stampa del Bloemaert ed il dipinto oggi conservato a Berlino, la "Madonnina vestita di bianco con Christo bambino che accarezza un agnello in un paesino" dovette essere ampiamente decurtata, nel passaggio dalla vendita parigina del 1815, alla collezione del re di Prussia, nella parte inferiore ed in quella a sinistra nella zone corrispondenti al paesaggio. In tal modo la composizione risulta assai più concentrata rispetto all'originale mantenendo tuttavia intatto il suo carattere idillico e sentimentale, quella grazia un poco languida e rarefatta che caratterizza molte delle opere eseguite da Ludovico Carracci nella seconda metà del primo decennio del Seicento. Nel percorso stilistico del maestro la Madonna con il Bambino e l'agnello si colloca infatti agevolmente tra la Madonna con il Bambino e santi di Bowood House, della stessa collezione Giustiniani, e la Madonna con il Bambino oggi conservata a Parigi, Louvre. La Madonna di Bowood House, considerata dal Freedberg, insieme alla Nascita della Vergine della Pinacoteca Nazionale di Bologna, come altamente caratteristica di quella svolta stilistica di Ludovico verso un carattere artificioso, frutto dell'unione di purezze pseudoclassiche e di deformazioni quasi caricaturali, presenta tuttavia una composizione più studiata e complessa di carattere maggiormente "ufficiale"; come nella Madonna di Berlino una grande enfasi espressiva viene qui concentrata nel gioco delle mani della Vergine e del Santo in ginocchio in primo piano e anche in questo caso, come nella Madonna di Berlino, un correggismo edulcorato si associa a quella "saturazione di colte memorie" ravvisata dalla critica in opere coeve quali, per fare un esempio non troppo distante da questa Madonna e santi, la Presentazione al Tempio di Lugano, collezione Tyssen-Bornemisza (BOLOGNA [1986], p. 318, n. 113). Di poco più tardo, l'ovato con la Madonna e il Bambino del Louvre presenta una Vergine tipologicamente molto affine a quella di Berlino nel trattamento della capigliatura, nello sguardo assorto e sognante, e nelle mani affusolate cui viene dato, all'interno della composizione, grande risalto formale; anche la grazia e la sentimentalità dimessa del gruppo, cui sono tolti i tradizionali attributi quali le aureole, ricorda l'estrema semplificazione formale e iconografica della Madonna di Berlino. Il quadro del Louvre, datato da Babette Bohon e da Stéphane Loire al 1616 (BOHON [1982], pp. 36-37 e 313-314 e LOIRE [1996], pp. 166-168), andrà forse avvicinato alle opere Giustiniani e datato, come voleva la Feigenbaum, al 1610 (FEIGENBAUM [1984], pp. 468-469, n. 151). Analogamente l'Annunciazione di palazzo Rosso, con una simile tipologia della Madonna dai lunghi capelli sciolti divisi in due ciocche che ricadono lateralmente sulle spalle, con la sua chiara ispirazione a Parmigianino e le sue figure sinuose, non potrà allontanarsi di molto dalla Madonna di Berlino, come voleva già il Freedberg che la datava al 1605-1607 (FREEDBERG [1983], pp. 115-116, fig. 140; ma 1602-1603 per F. Arcangeli in BOLOGNA [1956], n. 28). Grazie alla pubblicazione degli inventari del cardinale Benedetto Giustiniani ed alla conseguente datazione delle opere di Ludovico nella sua collezione, potremmo dunque collocare questo nucleo di dipinti nella seconda metà del primo decennio, in corrispondenza delle tre tele Zambeccari della Pinacoteca Nazionale di Bologna, del Cristo servito dagli angeli della stessa Gemäldegalerie di Berlino, dei tredici dipinti per Bartolomeo Dulcini, nonché degli affreschi della cattedrale di Piacenza. Si tratta di una fase particolarmente delicata del percorso artistico del maestro, caratterizzata da rivisitazioni cinquecentesche, con ispirazione evidente al Parmigianino, di cui copiò, per i Tanari, il S. Rocco e la Madonna della Rosa, e da uno stile decantato e sentimentale costruito con curve ondeggianti dei panneggi, sfumato atmosferico e appiattimento prospettico.
(Caterina Volpi)



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