ANNA SCHIAFFINO GIUSTINIANI

Anna Schiaffino, sposa del marchese Stefano Giustiniani Campi, muore suicida a trenta anni per amore del giovane Camillo Cavour di cui ne fu amante, il 24 aprile del '41 gettandosi dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari a Genova. La sua storia è conosciuta per il cospicuo e romantico carteggio con Cavour e per essere stata animatrice di uno dei “salotti” politici repubblicani del primo risorgimento Italiano.
Le lettere che si scambiarono e che sono giunte sino a noi in parte furono ritrovate dal collezionista americano Henry Nelson Gay nello stipo segreto di uno scrittoio appartenuto all’avvocato di Stefano Giustiniani, in parte sono state recuperate fra le carte private di Cavour: strette da un nastro assieme a una ciocca dei biondi capelli di Nina.

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Anna, ma da tutti chiamata semplicemente “Nina”, nasce a Parigi la mattina del 9 agosto 1807, da Maddalena Corvetto e dal barone Giuseppe Schiaffino. Suo padre, Giuseppe, era entrato al servizio di Luigi XVIII all’indomani della Restaurazione, e sarà in seguito nominato Console Generale di Francia a Genova nel 1817. Donna Maddalena è figlia del famoso economista repubblicano genovese Luigi Corvetto,che riveste il titolo di consigliere dell'impero che difenderà strenuamente l’indipendenza della “Nazione Ligure” durante il Con gresso di Vienna e che passerà alla storia come il creatore dello stato finanziario moderno.
La piccola si trova subito immersa nel clima d'una grande epopea. La sua formazione culturale, nel gran palazzo parigino di Rue des Moulins, è sicuramente più libera e liberale di quella delle sue coetanee nobili ed Italiane.
Quando, nel 1817, Giuseppe Schiaffino viene nominato console a Genova, Nina ha dieci anni ed è una bambina piena di curiosità. Si occupano di lei insigni precettori francesi e da una zia, Anna Littardi, nobildonna di singolare carattere e cultura, che le impartiscono un'educazione assai raffinata. Il vero educatore di Nina, come era chiamata da tutti, è il nonno Luigi che la conduce nei musei della città e le trasmette la passione delle musica e della lettura. E coperta di attenzioni come tutti i figli unici. La sua educazione è del tutto eccezionale. Accanto al francese, che è la sua lingua madre (le sue lettere scritte a Cavour sono quasi tutte scritte in francese), studia italiano, inglese, tedesco, lettere e scienze accanto all’arte del ricamo.
Abita al primo piano di Palazzo Doria Spinola al numero 6 dell’attuale via Garibaldi, allora via Nuova. Nel palazzo è ospitato anche il consolato generale francese e il padre vi riceve tutti i più illustri personaggi di passaggio a Genova. Nel palazzo accanto abita la sua migliore amica: Teresa Durazzo, a cui confiderà in molte sue lettere il suo tormentato amore per Cavour.
Nina è una donna non particolarmente bella ma certamente ricca del fascino che le viene dalla sua non comune cultura. Gli storici dell’epoca la descrivono dotata di “intelletto vivace, spirito arguto e grazia spontanea”. Soprattutto si appassiona ai temi politici del momento, è sensibile ai venti di cambiamento che iniziano a spirare in Europa, in Italia e a Genova in particolare.
Appena diciannovenne Nina è presentata a uno dei più illustri rappresentanti della nobiltà genovese, il marchese Stefano Giustiniani del ramo Campi Stefano è un giovane di ventisei anni, compassato, di media statura e tarchiato. Uomo compassato fino alla noia, scettico sino al cinismo, pronto all’astuzia e all’intrigo, che propugna le idee più reazionarie del tempo, ancorchè al servizio della corte Sabauda, e Nina, abituata al clima della “nouvelle noblesse” napoleonica, sente assai lontano da sé quel giovane. La sorte vuole però che Stefano la chiedesse in sposa e che i genitori di lei acconsentano, soprattutto la madre che vuole che la figlia abbia, almeno dal punto di vista economico, una vita tranquilla.
Il matrimonio viene celebrato, con grande fasto, nella Chiesa della Maddalena. Gli sposi vanno a vivere in piazza San Siro, nel Palazzo De Mari. È l’estate del 1825. Nel giro di due anni nasceranno altrettanti figli: Teresa e Giuseppe. Ma la nascita dei bambini non avvicina Nina la marito né riesce riempirle la vita. La loro vita scorre tranquilla, ma in realtà Nina è angosciata e depressa.
Dopo la resturazione post-Napoleonica, Genova viene annessa al regno Sabaudo. Di spirito profondamente repubblicano, la nobiltà Genovese fu da sempre avversa al rigido clima politico della Corte Torinese.
I nobili, spesso per opera delle loro moglie creano numerosi salotti in cui si parla di letteratura e di politica, in cui nascono i primi sentimenti reazionari e repubblicani. Queste nobildonne generalmente hanno poco dell’intellettuale, forse ad eccezione della giovane Nina formatasi nella Francia illuminista In politica sono quasi tutte moderate e molte di loro come la giovane Nina furono infuocate e finanziatrice della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.
Più che di salotti potremmo definirli salotti di socializzazione, la nobiltà post-Napoleonica deve adeguarsi al nuovo spirito borghese e si ridefinisce anche grazie alla formazione di associazioni,club, circoli formalizzati con uno statuto che pone barriere all’ingresso. La scrematura era fatta in base alla nascita nobiliare o alla condizione “civile”,con riferimento implicito al censo, come del resto succede ancora oggi. I salotti fanno parte di questa socialità rinnovata,con la differenza che non sono formalizzati, non hanno statuti né regole codificate se non la regia riconosciuta della padrona di casa. La tolleranza era notevole, erano ammessi nobili e borghesi e anche opinioni discordanti, sempre nel rispetto delle regole dell’educazione e del buon gusto. Si leggevano testi ad alta voce, si commentavano fatti e articoli di giornali, si conversava, si declamavano poesie e spesso si improvvisavano; anzi,i buoni improvvisatori erano molto ben accolti.
In questi luoghi le donne avevano quasi gli stessi diritti degli uomini in quegli anni dove vivevano in una condizione di assoluta minorità civile e politica. Nei salotti invece in genere è proprio la donna la regina, è lei a decidere chi entra e chi sta fuori; le padrone di casa del Risorgimento esprimono impegno civile, facendo beneficenza, e politico, accogliendo esuli e raccogliendo fondi.
Nina,dal 1827 tiene salotto, un salotto politico, d’opposizione, lei stessa è una fervente mazziniana, molto schierata; del resto era così di carattere, senza mezze misure.
Palazzo De Mari diventa così uno dei luoghi di incontro e di dibattito più frequentato della città. Fra gli ospiti più assidui Agostino Spinola e Giacomo Balbi Piovera (che saranno condannati per i moti del 1833), Nicola Cambiaso e Bianca Rebizzo, moglie di Lazzaro Rebizzo e futura amante di Rubattino, l’“armatore dei Mille“. A casa Giustiniani di si parla liberamente di tutto: di musica, di poesia e soprattutto di politica. Fra i frequentatori del salotto ci sono anche molti giovani ufficiali della guarnigione militare di Genova, tra questi spicca per cultura e capacità dialettica un giovane ventenne robusto e prestante dall'aria furba: Camillo Benso conte di Cavour (“Verrà il giorno- gli scrive nella prima lettera - nel quale il suo ingegno sarà messo in evidenza”..).
Siamo nel 1830, Anna ha venti tre anni e già due figli. Cavour legge e studia molto. Si avvicina alle idee liberali e, per questo motivo, entra in attrito con la sua famiglia. Torino gli sta stretta ed il salotto di casa di Giustiniani, gli appaiono pieni di vita e di fermenti.
Il suo spirito e la sua intelligenza iniziano ad attrarre Anna, ma non si può ancora parlare d'amore fra i due. Da quel momento la sua vita è segnata. I due si innamorano, e da allora Nina è assorbita totalmente da questa passione. Curioso che il marito ne sia a conoscenza ma non faccia nulla per impedirlo («Quella per il tenente Cavour? È solo una passione». «La verità è che Nina non è in possesso delle sue facoltà mentali»)
Cavour viene richiamato a Torino il 15 dicembre del 1830. Un mese prima Mazzini è stato arrestato come carbonaro e rinchiuso nella fortezza di Savona. Il clima insurrezionale a Genova inizia a farsi incandescente e le prese di posizioni liberati del “contino giacobino”, come lo definirà re Carlo Alberto, non piacciono a corte.
Il 5 marzo 1831 Cavour viene così “confinato” nel forte di Bard in Val D’Aosta per più di un anno, accusato da Carlo Felice di cospirazione politica. La partenza del conte, spiegata in una lettera, è un duro colpo per Nina che si sente come spaesata, rilevando implicitamente il suo interesse.
Alla fine del 1831 Cavour dà le dimissioni dall’esercito e torna a Torino. Il padre, per dargli un’occupazione che lo distragga dal vizio del gioco e da una vita che intravvede dissipata fra gozzoviglie e belle donne, gli affida la conduzione della tenuta di Grinzane.
Lo spirito ribelle ed indomito di Nina è ben rappresentato quando alla morte di Carlo Felice si presenta in teatro con Teresa Durazzo, Carolina Celesia, Fanny Balbi Piovera e Laura Dinegro per più sere con abiti sgargianti, invece che i vestiti neri a lutto. I loro abiti sui toni dell’azzurro, del rosso, del porpora e dell’ocra sono un urlo di ribellione, un inno alla perduta indi pendenza della repubblica di Genova asservita dal Congresso di Vienna a quella casa reale e a quel re che è appena morto. Ricordiamo che Anna Schiaffino è moglie del marchese Stefano Giustiniani che del re appena scomparso è stato gentiluomo da camera. Un uomo che a corte è di casa ed è noto per le sue idee conservatrici per non dire reazionarie.
Ma per Nina quella protesta non è solo per la perduta indipendenza di Genova, perchè per Lei Carlo Felice è soprattutto colui che, appena cinque mesi prima, ha richiamato a Torino il giovane Cavour.
Il suo salotto torna ad affollarsi di “persone sospette alla polizia”. Fra queste Bianca Milesi, mazziniana della prima ora, che raccoglie fondi per la Giovine Italia e che, due anni dopo, sarà costretta all’esilio a Parigi. Nella solitudine decide di occuparsi della cospirazione patriottica, anche per la grande amicizia che lega la famiglia paterna a Mazzini. Entra infatti in una setta carbonara e ne diviene "giardiniera". Si dedica alla raccolta di denaro necessario a stampare manifesti di propaganda sovversiva. Anche Nina Giustiniani viene travolta dal fallimento dei modi mazziniani del 1833.
Anche lei, nonostante la protezione che le viene dal nome e dalla posizione del marito, deve cambiare aria per un po’. La scusa per lasciare Genova è legata alle sue condizioni di salute. I parenti le impongono di trasferirsi nella villa di Recco, per non gettare cattiva luce su Stefano.
Quando Cavour deve partire e si separano, per Nina è una tragedia, l’amore diventa veleno mortale, un’ossessione. Continuano a scriversi ma intanto Cavour ha altre donne, si stacca da lei. Più l’amore di lui si raffredda più quello di lei cresce. La sua vita diventa un inferno, non frequenta più nessuno, il marito sa tutto, la madre la osteggia duramente, gli amici la evitano,la considerano una pazza.
Siccome ormai il suo nome figura nelle liste di proscrizione si trasferisce nel 1834 a Milano ospite di una cugina, Teresa Littardi. Motiva la richiesta del passaporto con l'esigenza di consultare specialisti per i forti dolori che le attanagliavano le gambe.
Qui Nina incontra, dopo molti anni, Carlo Pareto, irriducibile giramondo e rampollo di una delle più antiche famiglie genovesi. Carlo ha cinque anni meno di lei e la ama da sempre. Morirà nel 1881 sul letto di un manicomio, stringendo al petto le poche lettere da lei ricevute. A quell’incontro inatteso, a quella devozione assoluta, Nina Giustiniani cede ricambiando l’amore del nobile genovese. Lo confesserà lei stessa, l’anno successivo, al “suo” Camillo.
I medici di Milano le diagnosticano un disordine al sistema cardiaco e le consigliano una visita presso un famoso cardiologo di Torino, Francesco Rossi, che potrebbe finalmente guarirla.
Stefano, che conosce la passione della moglie, non fa nulla per contraddirla e non si oppone a questa nuova richiesta della moglie e il 14 giugno del '34 arrivano a Torino, senza sapere che il professor Rossi è anche il medico di casa Cavour.
Dopo il consulto torinese Nina andrà alle terme di Vinadio, a pochi chilometri da Valdieri dove il conte di Cavour trascorre lunghi periodi con la madre. Lei porta con sé due doni di Camillo: una carta topografica e un paio di guanti. Si scrivono decine di lettere al giorno In una di queste Nina scrive a Cavour: “Eri tu che la sorte aveva segnato come mio ultimo sostegno; tu pieno di forza, di vita, di talento; tu chiamato forse a percorrere la più brillante carriera”.
La notte del 24 giugno finalmente, dopo che segretamente ha scritto a Camillo, Anna e il conte si incontrano di soppiatto nell'albergo dove la marchesa soggiorna, mentre Stefano è momentaneamente assente.
Riprendono la relazione interrotta e si rivedono frequentemente nei giorni successivi, approfittando di altre assenze del marchese. Dal diario di Cavour si sa che da quel giorno gli incontri con Nina si susseguono senza interruzione, mattino e pomeriggio, in un delirio di furiosa passione.
Cavour è all’epoca un uomo molto diverso da quello che Nina ha conosciuto a Genova. È scontento della piega che ha preso la sua vita, non vede prospettive per l’avvenire, è deluso dagli amici e dalla vita. Tanto da annotare sul suo diario: “Se non fosse per certi dubbi che mi restano sulla moralità del suicidio, in verità mi libererei ben presto di questa fastidiosa esistenza”.
Stefano Giustiniani si accorge che qualcosa di strano stava accadendo e impone alla cameriera di consegnargli tutta la corrispondenza segreta della marchesa per creare dissapori fra i due amanti. Infatti incomincia a manomettere le lettere e ritardarne l'invio, altre le sequestrerà per consegnarle poi al suo avvocato perchè possano essere utilizzate in una eventuale causa di separazione.
Trascorrono così alcuni mesi in cui i due amanti fanno anche progetti di fuga insieme, ma Cavour, volubile e poco sensibile, si innamora di un'altra donna, e perde i contatti con Anna.
Il 22 luglio i Giustiniani e Cavour lasciano Vinadio. Si separano a Cuneo. Il conte va a Torino, Nina e il marito a Voltri nel castello dei Giustiniani,. Durante il viaggio lei consegna un biglietto al marito: “Caro Stefano, se tu continui a ignorare ciò che faccio, se non vuoi assolutamente ch’io lo veda a Voltri (e certo non hai torto) io prenderò le mie misure per procurarmi un passaporto. Spiegati chiaramente a voce o per iscritto”. E il marchese Giustiniani acconsente che Cavour venga a Voltri, ma ormai la passione si è spenta. Si vedono per l'ultima volta soltanto per scambiarsi i loro ritratti con dedica. Nelle numerose lettere che i due amanti si scambiano il suo tono è pacato, invita Nina alla prudenza. Durante un viaggio a Milano Cavour intreccia persino una relazione con la marchesa Clementina Guasco, conosciuta un anno prima a Torino. “Sono un indegno, un infame, la mia condotta è orribile” annota sul suo diario. Lasciati liberi dal marchese Giustiniani, Nina e Camillo fanno lunghe passeggiate nel parco, vanno in gita a Vesima e all’Acquasanta dove Cavour assiste a una processione delle Casacce e ne rimane colpito. Tanto da descriverla minuziosamente sul suo diario. Anche Nina annoterà questi momenti (Ogni mattina lascio il castello di mio padre all'alba e con la compagnia di un contadino mi metto a salire le montagne; vado,vado senza paura della fatica lungo i sentieri. Voglio sempre raggiungere la cima per lasciar scorrere i miei sguardi sull'orizzonte e respirare l'aria che respira il mio bene amato)
Il 17 settembre il conte parte da Voltri. Vi tornerà un ultima volta tra il 15 e il 18 ottobre successivo prima di partire per Parigi. Sarà l’ultimo loro incontro.
Nina rientra a Genova dove la accoglie il biasimo della madre. Il marito decide di cambiare casa. La coppia si trasferisce così a Palazzo Lercari Parodi al numero 3 di via Garibaldi davanti a quello dove Nina è cresciuta. Lui accredita in città l’opinione che la moglie sia mentalmente inferma. Lei continua a scrivere tempestare di lettere Cavour (una, del 25 aprile del 1835, persino in genovese) che è in giro per l’Europa ma quelle che riceve in risposta sono sempre più tiepide. Nina capisce che lo sta perdendo.
Nina, non ancora trentenne, ha assunto già l'aspetto di un'anziana signora. Vive in solitudine, condannata anche dal padre e dalla madre che la scongiurano di stare lontana da Cavour e di ravvicinarsi al marito. Anna, in questo stato, si sente attrarre dall' idea del suicidio.
Nell’estate del ‘35 Cavour promette di andarla a trovare a Voltri. Ma a Torino scoppia un’epidemia di colera e lui è costretto a rimandare il viaggio. Lei, che lo teme in pericolo, scappa di casa per raggiungerlo. Viene fermata ad Asti da un ufficiale Sanitario. Avvisato a Torino, lui la rassicura e le consiglia di tornare a casa. Nina obbedisce. Il 3 agosto gli scrive per l’ultima volta: “I tuoi consigli mi hanno decisa. Vedo che attaccandomi alla tua sorte ti renderei infelice. Se è vero che le nostre anime sono fatte l’una per l’altra si ritroveranno nell’eternità”.
Dopo aver scritto queste poche righe sul suo diario beve del veleno, ma la morte desiderata non sopraggiunge, anche se il veleno ha ugualmente effetti dannosi sulla sua salute mentale.
Con la scomparsa del padre per l'epidemia di colera, riesplode in Anna il desiderio del suicidio che ritenta il primo gennaio del '38, ma senza l'esito sperato. In entrambi i casi a salvarla è Lazzaro Rebizzo. Fra i più assidui al suo capezzale, il poeta Giuseppe Gando che l’adora a tal punto che, alla sua morte, decide di farsi prete.
Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841, Ninna tenta per una terza fatale volta il suicidio, si getta dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari, in via Garibaldi, in coincidenza dell'anniversario del primo incontro con Cavour. Il salto di undici metri non basta a stroncare all'istante la vita di Anna che deve aspettare alcuni giorni prima di spirare. “La donna che ti amava è morta - scrive Nina nella sua ultima lettera a Cavour - ella non era bella, aveva sofferto troppo. Quel che le mancava lo sapeva meglio di te. È morta, dico, e in questo dominio della morte ha incontrato antiche rivali. Se essa ha ceduto loro la palma delle bellezza nel mondo ove i sensi vogliono essere sedotti, qui ella le supera tutte: nessuna ti ha amato come lei. Nessuna!”.
Per i suoi resti non ci fu posto nella tomba del marito, che volle con sé la seconda moglie (Geronima Ferretti, sposata nel 1846 che fu il primo ardente amore di Goffredo Mameli che gli ispirò le sue più belle poesie amorose), né in quella paterna a Recco, né in quella del nonno tanto amato nella Chiesa Plebana di Nervi. Le sue spoglie sono state composte nella chiesa dei Cappuccini a Genova (sulla lapide: “ANNAE SCHIAFFINI CORVETTO, PRIDIE CALENDAS MAIAS SUIS PATRIAEQUE EREPTAE STEPHANUS EX GIUSTINIANEIS D. CHIENS PARVIQUE NATI UXORI MATRIQUE OPTATISSIMAE INSOLABILES PONEBANT. MDCCCXLI”)

Non si sa se il conte di Cavour abbia mai ricevuto l’ultima a lettera di Nina, suicida per amor suo:
Camillo caro,
Camillo bello te veuggio tanto ben, ma quando te ou pourrò dì. Son tanta fiacca a me exi- stensa a le così precaria che non ho coragio de pensà à l’avvegnì. Però, quello che posso assegurà, le che ou me coeu ou sarà sempre to, viva o morta son a to - e tanto che questa machinetta a m’apparten a sarà a to - vorreivo ese bella per piaxeite, vorreivo ese forte e ben stante e libera e avei molti dinai per seguite de lungo apreuvo. Questi son seunni: beseugna che m’adatte ae triste circostanze ne’ quali me treuvo, e che seggie ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo tanti baxi.
Tutta to Nina.


«Io non so nulla tranne d’amarti tanto.
Tu sei tutto per me. Sei un essere soprannaturale. Tu assorbi tutti i miei pensieri, tu mi domini....
Voglio la tua felicità prima della mia...
Camillo, sono tua per sempre»


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La Madonnina con bambino, messa da Nina vicino il Castello di Voltri, con il lume sempre acceso, affinchè i marinai la scorgessero e la venerassero, raccomandò che dopo la sua morte questo lume continuasse a restare sempre accesso e cos’ fu. Passato il castello ai Brignole Sale, la Duchessa di Galliera rispettò sempre il voto di Nina ed impose, per testamento, che lo rispettassero anche i suoi eredi. In questa fiamma arde ancor oggi il suo spirito irrequieto ed il suo inesausto amore.

LA LETTERA DI CAVOUR
Questa è la lettera che Cavour scrive ad Anna per giustificare la sua improvvisa partenza da Torino:
”L' anno scorso, avendo io vivamente disapprovato in Genova i famosi decreti di Carlo X, la polizia mi segnalò come persona sospetta e pericolosa e non è da ascriversi a colpa del suo capo, il colonnello Cassio, se non fui allora mandato in un forte come carbonaro. Al mio ritorno a Torino, a forza di commentare i miei discorsi e di interpretare sfavorevolmente ogni mia azione, mi fecero credere un clubista ed un anarchico e non già quello che ero, cioè un giovane che prendeva viva parte agli avvenimenti presenti ed esprimeva le sue idee con franchezza sovente imprudente. Fui additato ai miei compagni e all'esercito come persona da evitarsi, capace del più nero e più turpe delitto il tradimento.” [5 marzo 1831]
IL DIARIO

È qui riportata una pagina del diario di Anna:
”La mia vita è così passata! E io, Nina, tanto giovane la trovo lunga, troppo lunga questa vita che non è che un sogno. Mio Dio, se sento l'amore che è in me! Sono le quattro del mattino. Io, io chi? Cosa? Perché? Lo saprò mai? Potrò mai rendermene perfettamente ragione? Io so che due occhi, una fronte cara mi hanno fatto augurare a me stessa l'anestetizzazione, mi hanno fatto completamente dimenticare la mia esistenza personale, avrei voluto che tutto quello che ho di vita fosse consumato in uno sguardo - che significa questo? Perché per me la mia felicità risiede in un altro? E perché quest'altro è Camillo? Camillo! Ah Camillo!”

In amor vince chi fugge, lo sapeva bene il conte di Cavour che collezionò amanti e portò al suicidio Anna Giustiniani Pare che fosse fascinoso le donne impazzivano per lui e lui non se ne lasciava scappare una ma senza appassionarsi mai di Francesca Allegri
In amor vince chi fugge, lo sapeva bene il conte di Cavour che collezionò amanti e portò al suicidio Anna Giustiniani A vederlo così, come ce lo presentano i libri di scuola, con la faccia rotondetta, la barba e gli occhiali tondi, ha l’aria del secchione, come ce n’è uno in ogni classe. Camillo Benso Conte di Cavour non ha certo l’aspetto nobilmente pensieroso di Mazzini o la bellezza gagliarda di Garibaldi o, infine, le sembianze un po’ rudi e quasi contadinesche di Vittorio Emanuele I; fra i padri della patria è quello che sembra avere il minor fascino virile. Mai impressione fu più errata, il Conte fu in gioventù un accanito frequentatore di case da gioco e un impenitente tombeurde femmes; non bellissimo, aveva quello che alle signore piace più della bellezza: il fascino. Amò molto, ma spesso con una certa superficialità e fu quindi più amato che amante, ma tutte, anche quando, e succedeva spesso, era lui a lasciarle lo definirono buono, e non è certo un complimento da poco per donne che erano state abbandonate. Certo le donne amano spesso con maggiore profondità, è cosa da sempre risaputa, come ebbe a dire addirittura Boccaccio nella sua introduzione al Decameron, gli uomini hanno mille distrazioni, le donne, invece, vivono, o meglio vivevano, soprattutto in casa, sentendo così maggiormente le pene d’amore. Fra le numerose amanti dello Statista una merita un ricordo: Anna Schiaffino Giustiniani, non fosse altro per la sua tragica fine e per l’intenso epistolario che ha lasciato. Una vita nata all’insegna di molte fortune, quella di Anna, nipote di un ministro napoleonico, nacque in Francia nel 1807 e qui rimase per tutta la fanciullezza, ebbe il bene di un’educazione assai accurata, conosceva le lingue e aveva una buona cultura letteraria, i suoi mezzi ingenti e la nobile casata le consentivano poi di frequentare la migliore società. I problemi nascono sostanzialmente con il matrimonio con il conte Giustiniani, uomo con il quale non aveva niente in comune. Secondo una trama che avrebbe potuto uscire dalla penna di un qualche scrittore romantico, i due erano destinati a non intendersi: passionale, moderna fin quasi da essere rivoluzionaria Lei; freddo, conformista, reazionario Lui. La nascita di tre figli non migliorò certo la situazione. Ecco che Anna, dopo qualche anno di matrimonio infelice, è pronta, forse anche desiderosa, di innamorarsi secondo un cliscé piuttosto in voga. In società a Genova, città dove allora risiedeva, incontra un ufficiale del genio più giovane di lei di tre anni, colto, anche lui di idee aperte e liberali. I due si innamorano, piuttosto tiepidamente lui a quel che è dato di sapere, con tutta se stessa lei. E il marito? Quando qualcuno si stupisce dei costumi attuali all’apparenza troppo liberi, dovrebbe porre mente a quanto succedeva, nell’alta società di un secolo e mezzo fa. Il marito non fa una piega, arriva a uscire da casa quando arriva Cavour, è perfettamente informato di tutta la situazione e non si scompone, anche se la relazione era sulla bocca di tutti, tutti che in realtà del resto erano molto pochi perché le persone eleganti, nella così detta buona società, non erano certamente numerose, basta che la cosa si mantenga nei limiti di un’apparente decenza e nessuno trova da ridire del fatto che la Signora abbia un amante più o meno ufficiale. Ma Anna non si mantiene nei limiti, del resto piuttosto larghi, che l’ipocrisia dell’epoca accettava, fosse per lei andrebbe oltre e questo non si può. Ecco che la relazione allora diventa pericolosa. Traboccanti di passione, quasi fino all’eccesso, le lettere di Nina. Era bella, anche se poco appariscente, appassionata e sognatrice, votata alle nuove idee di libertà e indipendenza; Camillo invece era portato verso gli studi di matematica ed economia, pratico, lontano da preconcetti e ipocrisie. E furono proprio le idee liberali il primo motivo della loro complicità sull’onda dei moti del 1830, complicità che ben presto per Anna divenne una passione totalizzante, tale da stravolgere completamente il corso della sua vita. Quando Cavour viene trasferito e il suo amore si intiepidisce Anna continua a coltivare la sua passione, e fa quello che all’epoca proprio non si doveva fare.: si mette in mostra. In occasione della morte di Carlo Felice, quando alle dame era prescritto l’abito scuro in segno di lutto, Anna si presenta a teatro con un abito sgargiante, è in questo momento che inizieranno i dissapori con la madre, rigida e conformista, dissapori che non si placheranno mai. Passano i mesi e gli anni e Cavour ha molte altre avventure, si rincontreranno nel 1834 a teatro e dopo l’incontro un appassionato convegno d’amore, eccolo descritto da Lui: Ella non poté resistere più a lungo, la sua fronte si piegò leggermente più in avanti e si appoggiò sulla mia, e la sua bocca cercò la mia per imprimervi un bacio d’amore e di pace. Si incontrano, si perdono, si ritrovano in un andirivieni che ha l’aspetto di una passione travolgente per Lei, più tiepida per Lui; Camillo sembra piuttosto lasciarsi amare che condividere i furori della Contessa che così gli scrive: Amarti con passione non è una follia, vederti, scriverti o morire non è una follia; essere irrevocabilmente decisa a rompere con la vita piuttosto che lasciarti dubitare del mio amore non è una follia. E conclude con parole agghiaccianti: Ecco, sono questi i soli segni in base ai quali essi hanno pronunciato che le mie facoltà mentali si sono annebbiate. Io li compiango non sanno affatto comprendere l’amore. Essi si riferisce, più che al marito, ai genitori che in altre lettere confesserà essere incerti se chiuderla in manicomio o in convento. Intanto Cavour intreccia nuove relazioni, per esempio con Clementina Guasco di Castelletto, e, pover’uomo anche questa volta frainteso, vorrebbe un’avventura leggera e priva di complicazioni, ma anche Clementina, secondo un copione già noto, si innamora pazzamente. Lo sventurato così annota sul suo diario il 2 settembre 1834, quando scendendo all’Hotel della Ville di Voltri gli si offre l’occasione per una breve avventura con una contessa: Ma lasciando la signora Guasco, per andare a trovare la signora Giustiniani, sarebbe stato forse eccessivo passare la notte con una terza signora. Quel forse è delizioso! In quel settembre staranno insieme quattro o cinque giorni e dall’alto del disincanto del tempo ci viene forse da pensare che fu meglio così, forse se Anna l’avesse conosciuto meglio e ne avesse potuto condividere la quotidianità avrebbe in poco tempo perso, col progredire dell’abitudine, la sua grande passione. Invece così, con Camillo che poco dopo parte per un lungo viaggio, per nuove conoscenze che attraggono la sua mente desiderosa di sapere, e anche per nuovi amori, Anna conservò le sue illusioni intatte. Dalla lettura del suo epistolario si ha l’impressione che questa passione, poco vissuta e molto vagheggiata, diventi a poco a poco, man mano che Camillo si allontana, l’alibi che copre un male di vivere inguaribile e che più che l’amore a distruggere la Contessa sia la sua impossibilità ad adattarsi alla quotidianità. Nata per essere l’eroina di un romanzo romantico, con tutti gli ingredienti di prammatica: il marito freddo e insensibile, i genitori sordi al suo affetto, la minaccia del convento e del manicomio, la Schiaffino non riesce a vivere la normalità di una vita che pur sempre era e restava privilegiata, tre figli, grandi possibilità economiche, cultura, lusso e, se non altro la possibilità di seguire le proprie idee e anche di fare del bene. In quegli stessi anni una donna, della sua stessa classe sociale forse più duramente di lei colpita dalla vita, con un marito libertino e debosciato, con la polizia alle calcagna, con una figlia probabilmente illegittima, seppe dare ai suoi giorni un senso e uno scopo: combattere per le sue idee, scrivere, cercare di migliorare le sorti di chi lavorava per lei, viaggiare e comprendere il mondo: Cristina Trivulzio di Belgioioso che non ebbe bisogno di attaccarsi al fantasma di un amore mai veramente vissuto se non in pochi brucianti momenti, ma da sola, contando su di sé si guardò bene dal pensare al suicidio, cercò di essere utile a se stessa, a sua figlia, agli altri. Per questo la tragedia del suicidio di Anna Schiaffino Giustiniani, se umanamente coinvolge con la pietà e il rispetto che è dovuto a chi comunque ha molto sofferto, non suscita la stessa sincera e aperta ammirazione come per altre donne a lei contemporanee, che seppero dare di più a se stesse e agli altri. La donna che ti amava è morta…Addio, Camillo. Nel momento in cui scrivo queste righe ho preso l’incrollabile risoluzione di non rivederti più; tu le leggerai, spero, ma quando una barriera insormontabile si eleverà tra di noi, quando avrò avuto la grande iniziazione ai misteri della tomba, quando forse ( rabbrividisco al pensarlo), ti avrò dimenticato. La notte fra il 23 e il 24 aprile 1841, ben undici anni dopo che si erano visti per la prima volta e dopo anni di separazione, Anna si gettò a una finestra, morirà dopo un’agonia di diversi giorni! Peccato che a questo l’abbia portata più che il suo amore il suo male oscuro, peccato che non abbia saputo fruire di più, cercando un ideale che non esiste, dei grandi doni che la sorte le aveva affidati.


L'amante di Cavour Nina Giustiniani suicida per amore
Da "Il Secolo XIX" - 2 novembre 2003


Per approfondire questi due testi reperibili presso la Documentazione presente nelle ricerce bibliografica online dell’ICCU-Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane:
- Camillo Benso Conte di Cavour: “Lettere d'amore / Camillo Cavour”, con prefazione di G. Visconti Venosta ; presentazione e note di Maria Avetta (Torino : ILTE, stampa 1956)
- Codignola Arturo: “Anna Giustiniani : un dramma intimo di Cavour / Arturo Codignola” (Milano : Garzanti, stampa 1940)
- Camilla Salvago Raggi: Donna di passione, un amore giovanile di Cavour. Edizioni Vinnepierre 2008


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L'antico stemma di Voltri, presente sulla porta occidentale dove è raffigurato, a destra l'Agnello Pasquale, con vicino lo stemma dei Giustiniani. Tale lastra di ardesia fu lì collocata dopo essere stata rinvenuta in un terreno all'inizio di via dei Giovi


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