La resa del re DAragona a Giacomo Giustiniani. Il 7 agosto 1435, Alfonso V
d'Aragona, re di Sicilia, fu sconfitto e fu fatto prigioniero, insieme agli abitanti
dellisola, nella"battaglia di Ponza".
Stampa acquarellata a mano ottocentesca, appartenente ad un ciclo di stampe raffiguranti i
momenti più significativi della storia di Genova.
Durante la battaglia di Ponza del 5 agosto 1435 tra Aragonesi e Genovesi si distinse
l'ammiraglio Giacomo Giustiniani di Chios, tanto che per il suo riconosciuto eroismo, il
Re Alfonso consegnò la spada nelle sue mani .
Lepisodio fu spesso narrato dagli storici e dagli eruditi come segno della nobiltà
goduta già allepoca dalla famiglia, così Agostino Giustiniani ricorda
lepisodio «Et finalmente il Re ... fu contento di rendersi, e come che molti
volessero questa gloria e questo honore e sopra tutti il capitano Blasio, il Re volse
sapere il nome e la qualità di tutti i padroni. Et poi si arrese a Giacobo Giustiniano
uno de i signori dellisola di Sio, e accostata la Giustiniana alla Regia, e gettato
con prestezza uno ponte, il Re venne in balia de i vincitori Genoesi».
Tanta fu l'importanza per la famiglia di quell'episodio che nel 1828 Leonardo Benedetto
Giustiniani e Giovanni Battista Giustiniani, fecero tumulare il corpo nel Palazzo
Giustiniani di Roma, la cui iscrizione è ancora ben visibile proprio all'ingresso del
cortile di Via della Dogana Vecchia.
Nel 1435 Alfonso d'Aragona, morta la regina Giovanna II di Napoli, muove
la sua armata navale per riprendersi il reame di Napoli stringendo d'assedio Gaeta, per
sbarcarvi e di la muovere verso la capitale campana per impossessarsi del trono napoletano
togliendolo a Renato d'Angiò.
Genova, avversaria tradizionale degli Aragonesi, nel giugno del 1435 invia a Gaeta
Francesco Spinola (?; + 1442), appartenente alla illustre famiglia genovese, e signore di
Pieve di Teco (1426-1436), come comandante del presidio genovese in difesa della città;
parte con due navi e 800 uomini, di cui circa 400 sono balestrieri. Come giunge in Gaeta,
nonostante il desiderio di limitare al minimo lintervento non intendendo scendere in
campo contro la potentissima Spagna, viene dagli eventi costretto dallassedio
Aragonese e subito acclamato governatore, comincia a preparare le fortificazioni per una
estrema e disperata difesa. Con lui a Gaeta si trova Ottolino Zoppo. Lassedio durò
a lungo, fu duro, ma la resistenza di Francesco Spinola non cedette. Vari i modi e le
invenzioni dei combattenti. I marinai genovesi da una caracca impediscono l'avvicinarsi di
particolari macchine d'assedio con lunghe aste e lancio di sassi. Gli assedianti tesero a
prendere la città per fame. Mancano i viveri con cui sfamare la popolazione, e lo Spinola
allontana dalla città i vecchi e i bambini, circa 4000 persone, che trovarono ricovero
nel campo nemico grazie alla generosità di Alfonso. Rimangono solo pochi combattenti
ormai allo stremo, che non possono più reggersi per la fame; ma lo Spinola non accetta
neppure che si parli di resa, in ciò fidando nei soccorsi da Genova. In un combattimento
Francesco Spinola è ferito da un dardo ad una coscia, e il suo presidio si trova decimato
dalle malattie, Genova dovette decidersi, o rinunciare alla propria dignità di Stato, o
intervenire in soccorso delle sue truppe di Gaeta. Fu scelta una via di mezzo. Si stabilì
cioè di armare una flotta, e di inviarla in appoggio degli assediati, ma solo allo scopo
di liberarli, senza arrivare a scontrarsi con gli spagnoli I Genovesi erano stati stremati
finanziariamente dalle continue guerre del Duca Filippo Maria Visconti, ma egualmente con
un ultimo sforzo riuscirono ad armare una flotta composta da 12 navi grosse, requisite in
fretta dalla Repubblica per l'occasione, una navicella, 3 galee, con 2400 uomini a bordo.
Il comando dell'armata venne affidato a Biagio
Assereto (1383?-1456) , nato a Recco, figlio di un agiato artigiano; il nonno
veniva da Rapallo, la sua famiglia era di tendenza filo-milanese. Aveva svolto i primi
studi presso i religiosi e avrebbe dovuto essere orafo. Era di bell'aspetto, aitante nel
fisico ed allo stesso tempo intellettuale e abile uomo di mare, e per queste doti lo aveva
notato Francesco Spinola, allora padrone di Recco, che lo aveva preso presso di sé come
paggio. Lo aveva fatto studiare, e si era diplomato notaio, mestiere che aveva iniziato a
Porto Maurizio, posto ottenuto dalla Repubblica di Genova. Un impiegato dunque, no, un
navigatore; e nel 1425 lo si ritrova in città, capo dei cancellieri, e si dava
all'attività militare. Nel 1425 era capitano nella Serenissima contro Antonio Fregoso,
nel 1427 al comando di una galea nell'armata di Antonio Doria combattente per Giovanna II
di Napoli, e quindi era stato al comando della galea che aveva catturato il fiorentino
Ferruccio Verro portandolo prigioniero a Genova. Dunque, codici e pandette sono già
dimenticati, e così rogiti e toga. E' nato un nuovo ammiraglio, un grande uomo di mare.
Sarà uno dei più illustri nell'albo d'oro d'una città come Genova, pur cosi ricca di
capitani e di navigatori famosi. La fama di Assereto diviene universale quando egli vince
la battaglia navale di Ponza, nel 1435. Biagio Assereto agiva in veste di cancelliere
della Repubblica ed era assistito da Guido Torelli. Successivamente fu coadiuvato da
Francesco Spinola, Filippo Giustiniani e Cipriano De Mari. La sua spedizione partiva quasi
di nascosto per evitare le celebrazioni in onore dell'impresa, dicendo che avrebbero avuto
senso solo se fatte a vittoria conclusa. Salpa passando davanti a Recco e Portofino, e fa
rotta per il Meridione. Assereto aveva organizzato il viaggio in ogni dettaglio; giunge di
fronte a Gaeta con una piccola ma efficientissima flotta.
Con questi navigli faticosamente allestiti da Genova doveva fronteggiare la flotta
numericamente superiore aragonese. Assereto sapeva che lo Spinola era stato ferito, che la
resistenza era allo stremo.
Le 31 navi di Alfonso con i loro 6000 uomini gli andavano incontro. Alla
notizia dellarrivo delle navi genovesi gli Aragonesi si erano mostrati euforici e
sprezzanti e per il fatto che i Genovesi avevano posto al comando delle loro navi un
notaio, e perché essi da uomini di guerra si credevano ben più esperti e più forti, con
27 navi e i 6.000 soldati. Alfonso inviò a bordo dellammiraglia genovese Francesco
Pandone per scandagliare le forze e gli intenti dellavversario. Ed il disprezzo
aragonese aumentò quando lAssereto inviò loro un messo a comunicare lassenza
di ostilità da parte dei Genovesi, i quali solo volevano solo portare vettovaglia ai
Gaetani. Pretendevano che il re consentisse loro di scaricare i rifornimenti, dopodiché
sarebbero ripartiti con le loro navi. Qualcuno consigliò il re di non attaccare i
Genovesi, ricordando le sconfitte di Bonifacio, e di consentire loro quanto chiedevano e
senza avere fretta, poiché unico esito di ciò sarebbe stato un breve prolungamento
dellassedio.
Alfonso si indignò alla proposta, come re dAragona e di Sicilia e tra poco di
Napoli non poteva cedere di fronte ad una sola città.
LAssereto continuava a dormire poco, ad ispezionare con pignoleria, a coordinare, a
istruire i comandanti e gli equipaggi. Era un uomo modesto ma concreto, e non considerava
che lobiettivo da raggiungere. Prima della battaglia tenne un breve discorso in cui
espose ai suoi il fatto che quelli a bordo delle navi nemiche erano un re, dei principi,
dei duchi, dei marchesi, dei conti e dei baroni che certamente avevano con sé oro, pietre
preziose, vasi dargento e altre cose di grande valore che in caso di vittoria
sarebbero stati il premio delle ciurme genovesi.
La battaglia di Ponza
Gli eventi nei dintorni di Gaeta sembrarono inizialmente favorire gli Aragonesi; ma lo
scontro decisivo del 5 agosto, al largo di Ponza, iniziato a mezzogiorno e protratto senza
sosta fino alle dieci di sera, conclusosi dopo dieci ore, diede la vittoria
allarmata genovese. I fatti sono narrati dal letterato Ciriaco dAncona
allamico Francesco Scalamonti, un mese dopo la battaglia fatti: « E per uno
stratagemma dei Genovesi, avresti potuto vedere levarsi tra le navi del re, per tenere a
freno i soldati inesperti di combattimenti navali, nubi fumose e caliginose di calce
sparsa e globi di fiamme. Poi avresti potuto scorgere soprattutto, spettacolo miserevole,
navi squassate, battute e spezzate dalla violenza delle cannonate e semi-sommerse dalle
onde, e infine marinai naufraghi andar giù attraverso le onde, tra i banchi e i remi e
gli scudi, e cadaveri ondeggiare tra i flutti rosseggianti di sangue. »
La vittoria premiava i Genovesi ben oltre le loro speranze. Nel bottino contavano i
prigionieri, tra i quali il re Alfonso, i di lui fratelli, il re di Navarra, il Gran
Maestro di San Jacopo, il duca di Sessa, il principe di Taranto, Meneguccio
dellAquila capitano di 500 lance, e gran parte del suo seguito, ed in più molte
navi aragonesi. Una sola nave aragonese si era salvata, e le perdite di Alfonso
ammontavano a 600 morti e 5.000 prigionieri tra cui tutti gli abitanti di Ponza schierati
con gli Aragonese, che ovviamente, si spopolò (fu ripopolata soltanto qualche anno dopo
dal nipote di Alfonso, prendendo famiglie provenienti da Parma).
Alfonso V, preso a bordo della capitana, volle conoscere i comandanti delle navi. Elogiò
Biagio Assereto per labilità, la prudenza, il coraggio. Ma quando si trattò di
consegnare la spada come doveva secondo il cerimoniale della prigionia, non poteva
accettare che l'avversario cui la cedeva non era di un adeguato livello sociale, essendo
per lui solo un notaio di provincia. LAssereto pretendeva invece tale onore, pare lo
sollecitasse, ma il suo desiderio non fu esaudito. Tra i Genovesi era Jacopo (Gianni)
Giustiniani, dei Giustiniani di Scio, nobile, seppur di recente. Solo a lui il re
consentì di cedere la spada, ed altrettanto fecero i suoi fratelli.
stele funeraria di Giacomo Giustiniani nel palazzo di famiglia a Roma ora sede del
Senato della Repubblica
A conclusione della battaglia di Ponza, l'ultimo grande scontro navale genovese
del medio evo Biagio Assereto scrisse una relazione, che ci è giunta in tre
redazioni, in dialetto veneto, genovese e in volgare, che da lui fu indirizzata a Filippo
Maria Visconti, signore di Genova, e agli anziani della città.
A Genova fu festa grossa per tre giorni. Il bottino era di dimensioni mai viste, e venne,
come promesso, distribuito ai membri dellequipaggio. Al governatore ed agli Anziani
vennero riservate le croci, i libri, i paramenti, i candelabri e tutti gli altri oggetti
sacri che avrebbero adornato la chiesa di San Domenico. La vittoria impediva che i
Catalani tagliassero a Genova i traffici per il Levante. La città si attendeva ora
l'arrivo della parte spettante per i riscatti, ammontante a cifre immense. Ma la vittoria
ebbe per lammiraglio e per la sua città altre conseguenze.
Filippo Maria Visconti dapprima cercò di convincere il Senato e lAssereto a
continuare la guerra occupando la Sicilia; ma lammiraglio rifiutò perché per
unimpresa di terra mancavano uomini e denari.
Allora il Duca gli ordinò di portare il re ed i prigionieri a Savona; questa volta
lAssereto, pur privato del meritato trionfo, obbedì. Ne ricevette come premio di
consolazione il feudo di Serravalle, per il quale accettò di sottoscrivere un atto di
obbedienza che gli alienò le simpatie della sua città e varie accuse, tra cui quella,
volta ad incitare le ciurme alla ribellione contro di lui, quella di non versare a tempo
dovuto le paghe.
L'Assereto si rivolse al Visconti. Questi aveva bisogno di lui e lo sostenne, ma esigendo
lobbedienza. Il Duca pretese però anche i prigionieri sbarcati a Genova, tra i
quali il re di Navarra che rifiutava di muoversi per una questione di etichetta: voleva
fare il viaggio sotto il baldacchino perché glielo imponeva il rango. Filippo Maria volle
che fossero consegnati a lui anziché a Genova. LAssereto, ligio al servizio
obbedì, ed Alfonso e seguito furono portati a Milano da Filippo Maria Visconti.
Dalla situazione per lui difficilissima Alfonso uscì grazie al mutato e imprevedibile
atteggiamento del Visconti. Le versioni sono contrastanti. Gli storici genovesi affermano
che Filippo Maria fosse uomo controverso, dai nervi deboli e dal carattere ombroso,
nonché superstizioso cabalista, questo nella tradizione di luci ed ombre dei personaggi
di questa famiglia. Per tre giorni il Duca rifiutò di vedere Alfonso, ma quando lo
incontrò non seppe resistere al fascino della vera regalità. Lo ossequiò, si tolse il
berretto, si inginocchiò; lAragonese come ammiraglio era uno sconfitto ma come
parlatore era valido. Persuase Filippo Maria che stava facendo un grave errore a
parteggiare per i Francesi che volevano riprendere Genova e magari anche Milano. Lui
stesso era stato sconfitto più a causa dei Francesi che del Duca, ed altre ragioni. Il
Visconti, memore del pensiero del padre Gian Galeazzo sui Francesi, che intendeva
escluderne l'azione nella penisola, si fece convincere e preferì accordarsi con il re.
Filippo Maria tralasciò il riscatto, per il quale si doveva versare una prima rata di
30.000 fiorini, e tributò onori e festeggiamenti ad Alfonso d'Aragona, gli offrì doni,
si disse onorato daverlo a convitto. E mandò a Genova i suoi fidi per ordinare che
si apprestassero sei grosse navi e si pagasse il soldo alle ciurme per riportare Alfonso
dAragona e i suoi uomini a Napoli, che adesso anche Filippo Maria considerava regno
di Alfonso.
Gli storici milanesi guardano invece la manovra di Filippo Maria come un abile e
machiavellica politica del doppio gioco. In questa versione il Visconti il 21 settembre
1435 riceveva a Milano i rappresentanti angioini con i quali firmava un contratto durevole
settantanni nel quale fra le clausole, figurava quella che Renato dAngiò
avrebbe assoldato a Milano 1.500 uomini d'arme per conquistare il regno di Napoli. Ma allo
stesso tempo, dalla versione di Pier Candido Decembrio, l8 ottobre firmava due
trattati con Alfonso. In esso Alfonso si obbligava a restituire a lui e non ai Genovesi
Lerici e Portovenere, ed a prestargli aiuto contro Genova qualora questa gli si fosse
ribellata.
In cambio il Visconti forniva ad Alfonso laiuto per riconquistare il Regno di Napoli
fornendo 3.000 cavalli, il doppio di quanto pattuito con gli angioini, e limpegno di
convincere i Genovesi a non ostacolare limpresa.
Il Duca rimise in libertà Alfonso, e permise ai di lui fratelli, l'infante don Enrico e
Giovanni di Navarra, di recarsi in Spagna a chiedere rinforzi. Filippo Maria e Alfonso si
stavano spartendo la penisola: al secondo la conquista con l'appoggio del primo di Napoli,
e quindi un'alleanza tra Napoli e Milano che avrebbe dominato la penisola.
I Genovesi, umiliati dal Visconti, ricevevano i Gaetani che li mettevano in guardia e li
supplicavano di inviare loro un podestà. Tentarono di convincere il duca di Milano a
desistere dai suoi piani e mandarono ambasciatori a Milano, ma, dal racconto del
Foglietta, Filippo Maria subito li accolse freddamente e poi si indispettì quando gli
parlarono apertamente della questione e li congedò bruscamente imponendo loro di
abbandonare la parte dell'Angiò, di dimenticare le offese dei Catalani e di accattivarsi
la benevolenza di Alfonso. A Genova non restava che liberarsi dal dominio di Milano, come
fece poco dopo.
Biagio Assereto, compromesso con la parte milanese, continuò ad obbedire a questa sino ad
essere incolpato del voltafaccia di Filippo Maria e messo al bando. Ricevuta dal Visconti
la carica di governatore a Milano di Filippo Maria e conte di Serravalle Scrivia, ricoprì
per lui ancora nel 1437 la carica di commissario ducale di Parma e comandante dell'armata
milanese nella guerra contro Venezia. Sempre legato a Milano passava poi al servizio di
Francesco Sforza e sconfiggeva a Chiusa d'Adda e a Casalmaggiore l'ammiraglio veneziano
Querini, costringendolo alla ritirata nelle lagune. Infine Assereto abbandonava le armi e
si ritirava nel suo feudo di Serravalle Scrivia, dedicandosi alle frequentazioni con gli
amici e agli studi letterari; in questo campo fu anche amico di Enea Silvio Piccolomini,
il futuro papa Pio II dal 1458. Moriva a Serravalle Scrivia il 25 aprile 1456, ed era
tumulato nella chiesa arcipresbiteriale di Serravalle Scrivia. Qui, sulla sua tomba, sta
l'iscrizione: « Biagio Assereto, generale delle galee della Serenissima Repubblica di
Genova, fece prigionieri due re, un Infante, trecento cavalieri. Mori l'anno 1456 »
In parte estratto da: Wikipedia
Alfonso d'Aragona si arrende a Jacopo Giustiniani (Genova, Accademia
Ligustica)