Al momento della guerra austro - francese, Venezia non seppe approfittare della situazione
che si era creata tra le due grandi potenze del tempo.
Quando Napoleone sconfisse gli austriaci e li scaccio' da Milano, inseguendoli attraverso
il Veneto, trovo' Venezia "pronta" per essere conquistata.
Il passaggio dell'esercito francese in quelle zone ebbe come risultato la conquista di
importanti citta' (Verona, Padova, Vicenza) e di territori che si trovavano sul margine
della Laguna (Marghera, Brondolo), circondando, di fatto, la citta'.
La reazione della popolazione all'avanzata dell'esercito bonapartista furono molto
diverse: nelle citta' di terraferma occupate dai francesi buona parte della classe
nobiliare e di quella borghese, echeggiando i moti della Rivoluzione del 1789, cerco' di
svicolarsi dal governo veneziano, creando amministrazioni ostili alla Serenissima
Il 18 aprile 1797, a Leoben, Napoleone concorda con l'Austria l'acquisizione del Belgio,
Lombardia e Mantova in cambio del territorio della Repubblica Veneta, tranne Venezia, che
sarebbe rimasto un moncone isolato privo di vita.
Il doge di Venezia Lodovico Manin cercò di temporeggiare mandando a Gratz dove si era
istallato il quartier generale Francese due oratori FRANCESCO DONÀ e LEONARDO
GIUSTINIANI, i quali furono ricevuti in malo modo dal Bonaparte a Gratz il 25 aprile.
Speravano di persuaderlo che Venezia nulla aveva fatto per rompere la neutralità e che
era animata da una sincera amicizia verso la Francia. Ma il generalissimo si mostrò
irritato, non volle sentire scuse o ragioni e proseguì con delle terribili minacce:
"....Fin quando non saranno puniti tutti i rei d'offese ai Francesi; fin quando
non sarà cacciato il ministro inglese da Venezia e disarmati gli uomini, liberati tutti i
prigionieri; fin quando non decida Venezia tra la Francia e la Gran Bretagna; io vi farò
la guerra.
Per questo ho fatto la pace con l'Imperatore, e, pur potendo andare a Vienna, vi ho
rinunciato per questo; ho ottantamila uomini e venti barche cannoniere; io non voglio più
a Venezia l'Inquisizione, né voglio quel Senato, io sarò un Attila per lo Stato Veneto.
Finchè avevo dinnanzi il principe Carlo, io a Gorizia ho offerto al Pesaro l'alleanza
della Francia e la sua mediazione per tranquillizzare le città sollevate.
Fu respinta perché piaceva avere un pretesto per tenere in armi le popolazioni per così
tagliarmi la ritirata, qualora io vi fossi stato costretto.
Ora so che (l'alleanza) la cercate, io la rifiuto; non voglio progetti, voglio fare io la
legge. Non si usi il tempo per ingannarmi per guadagnare tempo come voi state tentando di
fare ora con questa missione.
So molto bene, che come il vostro Governo dovette abbandonare il suo Stato (la terraferma)
non essendo in grado di armarsi né in grado d'impedire l'ingresso alle truppe
belligeranti, così non ha forza per disarmare le popolazioni; ma sarò io a disarmarle
loro malgrado.
I nobili delle province tenuti finora come schiavi devono far parte come gli altri al
governo; perché questo è vecchio e deve cessare
"
"
Io batterò gli austriaci e farò in modo che i veneziani paghino le spese di
guerra, giacché hanno dato il passo ai nemici
"
I due oratori lasciarono Gratz convinti che con il Bonaparte non c'era nulla da fare; e in
verità nessun negoziato avrebbe potuto far recedere il generalissimo dai patti
sottoscritti a Leoben, e salvare Venezia la cui sorte oramai era stata già
irrevocabilmente decisa.
La storia comunque ricorda il fiero l'atteggiamento di Leonardo Giustiniani, che quanto
a coraggio non era quello di un uomo di pasta frolla.
Replicò con ardire a Napoleone che lui comunicava solo gli ordini ricevuti dal suo
Senato, ma che se voleva si offriva come ostaggio, poi levandosi la spada la consegnò al
Bonaparte.
Napoleone apprezzò molto il virile coraggio di quest'uomo, e gli consentì di recarsi a
Venezia a riferire, e restituiva l'amministrazione cittadina ai trevigiani, di cui il
Giustiniani era il provveditore.
l'8 maggio 1797 il doge Lodovico Manin, offre alla Consulta le sue dimissioni, ma lo
pregarono di restare.
Il 9 maggio 1797 risponde ai francesi che volevano imporgli la Presidenza della futura
Municipalità Provvisoria di Venezia: «... che essi erano padroni della sua vita, ma che
della sua Religione e del suo Onore ne era padrone solo Iddio.».
Venerdi' 12 maggio 1797, per l'ultima volta, si riuni' il MAGGIOR CONSIGLIO al fine di
accettare le richieste avanzate. Il doge Lodovico Manin, alzandosi per l'ultima volta dal
suo scranno, prego' il Maggior Consiglio di dare il proprio assenso alla "parte"
napoleonica "mentre ne vien minaccia' sempre el ferro e el fogo se non se aderisce
alle loro ricerche". In tal modo quel giorno si decise la fine, ingloriosa, della
Serenissima.
Il 16 maggio, con il pretesto di mantenere l'ordine durante il passaggio di consegne tra
il vecchio ed il nuovo governo, quattromila soldati francesi sfilarono in Piazza San Marco
che, per la prima volta nella sua storia, venne invasa da truppe straniere
Nello stesso giorno a Milano, i Francesi sottoscrivevano un accordo con i delegati del
vecchio regine, Francesco Donà, Leonardo Giustiniani e Luigi Mocenigo con il quale
si impegnavano a lasciare la città lagunare una volta instaurato il nuovo governo.
Il 4 giugno in piazza san Marco veniva piantato l'albero della libertà e bruciato il
Libro d'oro del patriziato veneziano assieme alle insegne dogali che Lodovico Manin fu
costretto a consegnare.
L'occupazione francese di Venezia duro' fino al 18 gennaio 1798, quando cesso' per effetto
del trattato di Campoformio (sottoscritto a PASSARIANO il 17 ottobre 1797).
Con questo trattato il territorio della Repubblica Veneta a sinistra dell'Adige, compresa
Venezia, l'Istria e la Dalmazia passavano sotto la dominazione austriaca.
Venezia, saccheggiata, privata dei cavalli di san Marco, spogliata di moltissime opere
d'arte, il 18 gennaio 1798 veniva lasciata dal generale francese Serrurier per essere
consegnata agli austriaci, che le tolsero definitivamente della libertà di cui, unica,
aveva goduto per più di undici secoli.
Il 19 gennaio 1806, in seguito alla vittoria di Austerliz, agli austriaci subentrarono
ancora una volta i francesi.
Il congresso di Vienna (1815) consegno' di nuovo Venezia all'Austria, cui rimase
sottoposta, eccetto la breve parentesi di DANIELE MANIN (1848 - 1849), fino al 1866 , anno
della sua entrata nel regno d'Italia.
Nel Dicembre 1866 nelle prime elezioni amministrative posteriori al ricongiungimento della
città alla madrepatria, i votanti sono 1525 sui 4033 aventi diritto.
Fra gli eletti, viene scelto sindaco (per nomina regia) un patriota già perseguitato
dagli austriaci, il conte G.B. Giustinian, posto a capo di una giunta nettamente
conservatrice, composta in parte da liberali moderati, in parte da personalità legate al
precedente regime.
I compiti che si pone la nuova Amministrazione, in una città impoverita e scossa dalle
agitazioni dei ceti più sfavoriti, sono la razionalizzazione del tessuto urbano (apertura
del Bacino Orseolo, a ridosso di piazza S. Marco, della Strada Nova, fiancheggiante il
Canal Grande, ecc.), e delle strutture manifatturiere e portuali.
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Giustiniani