LA RICERCA GENEALOGICA IN ABITO LIGURE

Perché cercare chi ci ha preceduto nel tempo? Quale vana gloria ci spinge? Già il poeta Giovenale nella sua “ottava satira” avvertiva sulla pericolosa ambizione dei vivi di ricercare nel proprio passato antenati famosi, quando ormai nulla più li lega a loro: “Stemmata quid faciunt? Quid prodest, Pontile, longo. Sanguine censeri, pictosque ostendere vultus. Maiorum, et stantes in curribus AEmilianos … Quis fructus generis tabula iactare capaci. Fumosos equitum cum Dictatore magistros. Si coram Lepidis male vivitur?” (traducibile come: “Gran lignaggio a che vale? Esser d’antico sangue famoso, e porre in mostra i pinti volti degli avi, o Pontico, che giova?... Qual pro, che in ampia tavola si vanti d’equestri affumicati Condottieri la lunga schiera al Dittator vicina, se male in faccia ai Lepidi si vive?”).
Una risposta ci viene dallo storico ligure Stefano Agostino Della Cella vissuto alla fine del XVIII secolo: ciò che guida nella ricerca genealogica è ricercare le virtù degli antichi genovesi, “l’intrepidezza ed il coraggio – che avevano reso potente la città, e sul loro stile di vita indefessamente faticoso, sobrio e frugale”, del quale hanno “orrore e vergogna i moderni a farsi imitatori”. Ricerca quindi come esempio e stimolo per i contemporanei. Risposta alla legittimizzazione del posto occupato da un individuo in una configurazione parentale o all’interno di un tessuto economico sociale.
Ricostruire, tassello per tassello, il grande mosaico genealogico di una famiglia, è come fare un affascinante viaggio. Svolgere una ricerca genealogica non vuol dire andare alla ricerca di ascendenti illustri, ma ricostruire le origini del proprio ceppo familiare risalendo all'indietro nelle generazioni e nei secoli a seconda delle fonti disponibili. La ricerca genealogica è una forma di memoria collettiva espressa nell’idioma della parentela. Passando i vari modi di rappresentazione genealogica in ambito ligure citiamo innanzi tutti i “repertori” delle famiglie, particolarmente diffusi nel XVIII secolo in area ligure.
L’interesse per le ricostruzioni famigliari comincia nella seconda metà del cinquecento, quando vengono commissionate ad eruditi specialisti ricerche volte a dimostrare l’antichità, la più remota possibile di nobili casati. Nell’elevato valore simbolico e nei benefici materiali legati all’attestazione di nobiltà si può riconoscere il movente di una crescente domanda di panegirici e scritti celebrativi, in cui si riconosce l’ascendenza dei committenti fino ad uno stipite leggendario, spesso ambientato nella Roma imperiale, in Babilonia o in Troia. Il genealogista individua il mitico fondatore del casato, sovente l’eponimo, e lo collega al committente in linea agnatica, meglio se primogeniturale. Cultura quindi cortigiana e mercenaria, genealogia come celebrazione ed elaborazione di un mito delle origini famigliari, praticata con improbabile rigore e, talvolta, con manifesta disinvoltura, esempi che comunque si ripetono anche ai giorni nostri. La fiorente committenza nella ricerca di legittimazione del proprio prestigio proveniente sia da nobili che da i così detti “neo” ricchi, viene efficacemente tratteggiata da Girolamo Tiraboschi nel 1789 nella sua opera: “Riflessioni sugli scrittori genealogici”: “Un uomo, cui la fortuna dal basso stato, che aveva nascendo, ha sollevato a sublime grado di ricchezze e di onori, desidera prima, poi sogna, e finalmente si persuade, che i suoi maggiori non siano stati si vili, come il volgo s’immagina, e che la sorte abbia bensì per qualche tempo potuto oscurarne, ma non estinguerne lo splendore. Un erudito famelico conosce il lor desiderio, e la loro ambizione; s’insinua destramente nella lor grazia; si mostra profondamente istruito nell’antichissima nobiltà delle loro famiglie, e offre lor la sua opera ad illustrarla scrivendo. Si accetta cortesemente l’offerta; e l’erudito è ben persuaso, che la sua ricompensa sarà in proporzione de’secoli”.
Nonostante che a Genova, forse per il fatto di essere una Repubblica e non una monarchia, fossero poco diffuse che altrove, tuttavia non mancano esempi interessanti di ricostruzioni fantastiche delle origini famigliari che tentano di riportare le genealogie delle famiglie in vista dai re Visigoti e dalle monarchie di Aragona, Asturie, Castiglia e Navarra. Già nel 1775, un certo Battista Coccorno segnalava il dilagare di tal costume della nobiltà genovese ricordando come “in questa metropoli molti pretendono di discendere da Conti della Marca di Germania, da duchi di Cleves, da Conti di Barbona e per insino dagli imperatori Ottoni, come li Lomellini, li Spinoli, li Doria et altri, venuti tutti sono questi dalle Ville di Polcevera, chi da quelle della Lombarda, chi da Boscaglie e Montagne della Riviera e chi da Paesi di Padri ignoti”.
Più ampia e costante a Genova, specie tra il XVI ed il XVIII secolo la produzione delle raccolte di “tavole genealogiche”, anche se il loro scopo non è quello della celebrazione del casato nelle sue origini e nelle sue fortune, ma nella scomposizione capillare dei suoi rami, in funzione dell’accertamento dei diritti successori relativi alla riscossione degli interessi periodicamente maturati sui “titoli” del debito pubblico: sono le così dette “colonne” di San Giorgio, una delle fonti di investimento delle famiglie Genovesi, anche dei Giustiniani, accese e spesso vincolate a legati, vitalizi e fedecommessi come ad esempio come quello del Principe di Bassano di Vincenzo Giustiniani. Quindi più che l’istituzione e la legittimazione dello status vi si riconoscono lo strumento funzionale all’attuazione di strategie patrimoniali. A differenza dei panegirici sopra citati, non sono legati ad una moda letteraria, ma si aggiornano e si riscrivono sino alla fine del settecento, estendendosi progressivamente dalle sole famiglie ascritte al “Liber Nobilitatis” a tutte quelle coinvolte negli investimenti sulle colonne del banco, siano esse nobili o meno.
Un terzo genere di ricerche in questo campo oltre i panegirici e le raccolte di tavole, soprattutto prodotte tra gli inizi del XVII e i primi decenni del XIX sono le “collezioni di schede organizzate secondo un modulo costante” , che si presentano come un distinto e ragionato repertorio o dizionario nel quale vengono raccolte le informazioni ricavate sui singoli membri di ciascuna famiglia. Accanto al nome della famiglia, sono trascritte alcune brevi osservazioni sulle origini e l’arma araldica: se questa è ignota lo scudo è lasciato in bianco. Seguono le note, disposte in ordine cronologico, precedute dalla data a cui risale la notizia e talvolta concluse con la citazione della fonte, dalla quale sono state tratte. L’ordine delle famiglie è differente nei diversi repertori, come criterio di selezione che ne informa sulla struttura. Nei manoscritti risalente agli inizi del XVII secoli e prodotti a Genova, troviamo inserite le sole famiglie cittadine ascritte alla nobiltà. Altre invece inseriscono chiunque abbia soggiornato seppur per breve tempo nella Repubblica Genovese, altri, forse per meglio ossequiare le committenze o i probabili acquirenti, evitano di includere gli individui che, avendo compiuto atti criminali o esercitano mestieri umili, screditano il casato.
I repertori delle schede di famiglia sono a struttura aperta, essendo progressivo, è suscettibile di modifiche, aggiunte o integrazioni o correzioni, aggiornabili con nuove informazioni sulle famiglie e ulteriori annotazioni sui loro componenti. Non sono quindi infrequenti aggiunti trascritte, anche molti anni dopo la stesura, dallo stesso autore, dal committente o dai successivi possessori. Si può riconoscere in queste opere una sorta di “libro di famiglia”. Gli schedari quindi diventano opera collettiva, in cui ciascuno di essi diventa sostanzialmente una copia aggiornata ed integrata del precedente. Alle note trascritte nel primo seicento ricavate pressocchè esclusivamente dagli elenchi delle magistrature cittadine, si aggiunge in seguito lo spoglio dei fondi notarili, le citazioni tratte dagli annalisti e dagli storici della Repubblica, le iscrizioni e le lapidi sepolcrali, i cartolari del Banco di San Giorgio, e naturalmente, le informazioni tratte dai repertoristi precedenti. Il differenziato uso delle fonti utilizzate nell’arco di due secoli per le note repertoriali illustra l’evoluzione del significato funzionale del repertorio tra la fine del XVI secolo e XVIII: probabilmente nato in relazione alla questione dell’ascrizione alla nobiltà e alla conseguente necessità di “provare l’antica abitazione della Stirpe nello Stato” , il repertorio viene in seguito prodotto e consultato per ciò che attiene alle riscossioni di rendite e ai benefici successoriali. Con la riforma delle “Leggi del Casale” del 1576, viene stabilita l’abrogazione del sistema basato sugli alberghi e la riassunzione del cognome abbandonato nel 1528. Le ascrizioni al “Liber nobilitatis” sono limitati a dieci (sette per la città e tre per le riviere), vengono inoltre fissati i principi d’inserimento: antica ascendenza nella storia della Repubblica, nascita legittima, buona reputazione e onestà di costumi, il vivere del proprio e non aver esercitato da almeno tre anni nessuna arte meccanica. Nei processi d’iscrizione istruiti a seguito delle richieste di iscrizione, fra la documentazione prodotta dai candidati accanto alle domande di rito, alle fedi di nascita e di matrimonio dei genitori e alle prove testimoniali, di solito non si trovano gli alberi genealogici: non sono semplicemente richiesti, non escludendo che essi possano essere prodotti per dimostrare l’eccellenza delle origini ed in particolare il ruolo degli antenati nelle cariche pubbliche.
Il repertorio delle famiglie, e talvolta anche la raccolta di tavole genealogiche, è di solito proceduto da un piccolo riassunto (il “ristretto” ) di storia genovese e da una premessa di carattere metodologico di solito a partire dalla fondazione della città in epoca preromana alla riforma degli alberghi Doriana nel 1528 e delle Leggi del Casale del 1576. Ciò è funzionale ad accreditare il ruolo preminente delle parentele nelle storia genovese. Le vicende della Repubblica sono esposte ponendo in evidenza in ruolo delle famiglie a quello degli individui e delle Istituzioni. Nel riassunto viene ambiguamente tratteggiato anche il significato di nobiltà che nella Repubblica di Genova aveva un significato più di compartecipazione alla cosa pubblica piuttosto che un significato squisitamente signorile e di censo come in quella vassalla delle monarchie e principati. A Genova la nobiltà fondata sul sangue non ha nessun fondamento storico del resto lo stesso storico Oberto Foglietta nel XVI secolo afferma che “non v’ha famiglia i cui principj per qualche tempo non siano stati umili, e forse abietti, mà molto più a Genova, ove il sterile territorio hà obbligato i cittadini all’industria” . La condivisione del cognome non implica la discendenza e comunque ad un titolo non corrisponde di per sé alcun merito. Ancora lo storico Stefano Agostino Della Cella afferma “Ognun sa molto bene che ne tempi moderni, anzi ai giorni nostri, si sono ascritti al Libro d’Oro non poche famiglie, che di quelle antichissime non ostante portino la stessa denominazione, anzi lo stesso stemma, con tutto ciò non hanno nulla a che fare con quelle, avendo nel corso delli anni, per diversi accidenti, acquistato o carpito il nome delle antichissime”. Un cognome eminente è del resto una risorsa, la sua aggiunta al proprio, per alleanza o per affiliazione o per clientela, aveva rappresentato tra il XIV e il XVI secolo una pratica consueta che poteva portare, nel tempo alla sostituzione del secondo con il primo come di fatto era stato imposto nel 1528 con le aggregazione delle famiglie nobili in alberghi. Sul finire dello stesso secolo si riporta in una cronaca che “vi sono infiniti Spinoli che zappano in quelle montagne, né li fa nobili il domandarsi Spinoli, ma l’esser scritto nel libro della nobiltà” , ribadendo quanto fosse dubbio il concetto di una nobiltà di sangue preteso dai “vecchi” nobili, ancor più se argomentato sulla pura condivisione del cognome. Gli storici Dalla Cella e Garibaldi considerano nobile chi si è distinto per il “valore militare” , l’attaccamento alla patria e il “giusto ardente zelo della libertà” , più di chi abbia acquisito un titolo senza dare prova di possedere tali valori; come si può affermare delle famiglie che vengono “in altre regioni servilmente innalzate a fumosi titoli”. E’ infatti “di gran lunga più nobile… la difesa e l’amore della libertà propria”, piuttosto che la forsennata vendita del proprio sangue ad un vile interesse, o la malnata ubbidienza alla ingiusta e talor tirannica ambizione di un regnante” (Stefano Agostino Della Cella: “Famiglie di Genova”, ms in 3 tomi 1782-1784).
Viene così riaffermata l’idea di una nobiltà di ascendenza comunale non feudale, come più volte ribadita nella storia genovese. Concetto anche ripreso da altri storici più avanti, come il notaio chiavarese Angelo Della Cella, che giudica “chimerico questo vocabolo di nobiltà solo riferibile per lo più ai ricchi… né so figurarmi per nobile se non colui che difese e governò con disinteresse e plauso la propria Patria”.
La storia della ricerca genealogica si muove quindi sul principio dell’autorappresentazione di un individuo, di una parentela o di una società basata sulle parentele; ma anche legittimazione di status o di diritti successori, esteso a tutti i livelli della stratificazione sociale, che affiora nella documentazione giuridica civile e penale, nelle testimonianze legate ai processi matrimoniali per le cause di consanguineità, nelle pacificazioni imposte sulle faide interparentali soprattutto per le cause sui gravami sulle terre comuni, i giuspatronati, le dispense, i lasciti e sui patrimoni soggetti all’istituto del fedecommesso. Soprattutto in questo ultimo caso il sistema delle sostituzioni implica la previsione di una gerarchia fra le linee, ed è probabilmente questa una delle ragioni che spiega come soprattutto nel seicento si moltiplichino negli archivi di famiglia le ricognizioni genealogiche e i rifacimenti degli alberi.
Nelle introduzione dei repertori tardo settecenteschi, traspare inoltre il desiderio degli autori di essere considerati a pieno titolo tra gli storici genovesi, essendo l’interesse per le famiglie un modo tutt’altro che indiretto di occuparsi di storia patria. I lunghi elenchi di scrittori genovesi posti al termine dei repertori non sono soltanto le liste delle fonti alle quali gli autori hanno attinto notizie, di molti di essi gli autori ne conoscono l’esistenza ma non l’opera se non attraverso la citazione dei repertoristi e degli storici precedenti. Tali elenchi appaiono così come una scheda extrafamigliare quasi una genealogia, in fondo alla quale l’autore del repertorio aspira a essere inserito ed immortalato.

Parte di questo capitolo è stato tratto dal lavoro di Massimo Angelini: “La cultura genealogica in area ligure nel XVIII secolo – introduzione ai repertori della famiglie” , pubblicata negli “Atti della Società ligure di Storia Patria”, n.s. XXXV (1995), I, pp. 189-212
Sempre dello stesso autore segnalo altri articoli presenti nel suo sito:Pubblicazione di Massimo Angelini :
Le scritture domestiche in area ligure
L’invenzione epigrafica delle origini famigliari
Soprannomi di famiglia e segmenti di parentela


Nota metodologica per una ricerca Araldica

Prima di tutto, si parte dai documenti conservati nella propria famiglia, che possono essere tanti o pochi a dipendenza dell'importanza avuta in passato dal casato e anche da ciò che si è voluto conservare. Fino ad alcuni decenni fa in ogni famiglia, specialmente del ceto rurale, tutti i manoscritti importanti si conservavano (magari in solaio o in qualche cartone o baule). Con l'avvento della civiltà dei consumi ci fu un vero scempio in questo campo e si bruciarono o si indirizzarono al macero numerosissimi documenti, certamente di notevole valore storico locale. Inoltre ci si dovrà basare su quanto raccontato dai genitori, nonni parenti, nonché da altra gente del villaggio di origine. Tutto quanto raccontato dai vecchi, perfino le leggende, ha un fondamento nella realtà storica. Avuta la notizia, bisognerà poi accertarne il fondamento a mano dei documenti.
Poi ci si affida ai nominati registri anagrafici parrocchiali: libri dei battesimi, dei matrimoni, dei defunti, elenco dei cresimati, stati delle anime. Come è intuibile, detti registri sono manoscritti in latino, ma si tratta di un latino volgare assai comprensibile. La presenza della Chiesa e il profondo legame delle sue istituzioni con il territorio permeano l'intera storia italiana: gli archivi ecclesiastici sono depositari di un patrimonio documentario di immenso valore, il cui studio contribuisce alla ricostruzione di larghissima parte della storia italiana.

In questi libri si trovano notizie molto importanti:
Libri dei battesimi (Liber baptizatorum), che registrano i battezzati, con la data del battesimo (che nella maggior parte dei casi coincideva col giorno della nascita oppure con il giorno seguente), il nome dei genitori, il nome dei padrini di battesimo, del sacerdote che amministrò il sacramento e ovviamente il prenome o i prenomi imposti al neonato. In caso di battesimo eseguito in circostanze di grave pericolo di morte del nascituro o della puerpera, da persona cognita (per esempio dalla levatrice), talvolta ancora prima dall'uscita dall'utero materno, ne è fatta menzione. La cerimonia battesimale veniva poi effettuata dopo qualche tempo in chiesa, per dare il crisma ufficiale. Anche i figli nati da nubili o vedove venivano menzionati come tali e spesso era specificato anche il nome del padre, con la menzione "ex illicito coitu", "ex damnato thoro", ecc. - come confessato dalla partoriente alla levatrice.
Nel Medioevo i cosiddetti figli naturali erano una cosa normale: il padre dava il suo cognome o patronimico al neonato. Con l'avvento della Riforma e della Controriforma si strinsero i rubinetti relativi alla libertà sessuale. Le nascite al di fuori del matrimonio furono considerate un'infamia e di conseguenza si agì. E così ci furono i figli illegittimi, davanti alle porte di qualche casa o di quegli istituti che accoglievano i trovatelli e aumentarono gli aborti e perfino gli infanticidi.
Libri dei matrimoni (Liber matrirnoniorum): vi sono indicati gli sposi, molto spesso con l'indicazione dei loro genitori, i testimoni al matrimonio, il sacerdote officiante e le pubblicazioni fatte in chiesa, nonché gli impedimenti di consanguineità e di affinità secondo il Codice di diritto canonico e le eventuali dispense rilasciate dal Vicario, dal Vescovo, dal Nunzio apostolico o anche dal Vaticano. Non si dimentichi che detto Codice di diritto canonico esigeva la dispensa fino al 5' grado di consanguineità e pure per la cosiddetta parentela spirituale (per esempio tra padrino e figlioccia, tra fratellastro e sorellastra). Nei nostri archivi parrocchiali le dispense matrimoniali sono moltissime e, nella maggior parte dei casi, la motivazione è "ob angustiam loci" (per la ristrettezza del luogo) il che è poi un modo elegante per suggellare matrimoni di convenienza (che erano la maggioranza). Si riusciva ad ottenere mediante questi matrimoni ciò che ora si ottiene con il raggruppamento fondiario.
Sia nei libri dei battesimi, sia in quelli dei matrimoni, tra i padrini e le madrine di battesimo e tra i testimoni di nozze si trovano spesso persone emigrate che si fanno rappresentare alla cerimonia da parenti.
Le registrazioni dei battesimi da parte delle singole parrocchie sono generalmente le prime fonti ecclesiastiche a comparire, già prima che il Concilio di Trento nel 1563 le rendesse obbligatorie.
La loro funzione, dapprima solamente religiosa, divenne a poco a poco più rilevante anche sotto il profilo civile, visto che la competenza anagrafica fu riservata fino all'800 in maniera quasi esclusiva alle autorità ecclesiastiche. Negli stati italiani preunitari non esisteva una regolamentazione uniforme: ci sono casi - per esempio le città di Reggio Emilia e Modena - in cui l'autorità civile si occupò delle registrazioni anagrafiche fin dal primo '500; bisogna tuttavia arrivare fino all'epoca napoleonica per assistere al sorgere dell'ufficio preposto allo "stato civile". Con l'avvento della Restaurazione si verificò ancora la frammentazione e la diversificazione delle norme e della tenuta delle registrazioni anagrafiche nei diversi stati italiani, ma dopo l'unità d'Italia - nel 1865 - vennero istituiti e regolamentati gli uffici di stato civile presso i Comuni. Con l'unità d'Italia lo stato incaricò quindi i comuni della tenuta e della conservazione degli atti anagrafici: tuttavia, viste le particolari modalità con cui si completò il processo di unificazione, in alcune zone delle Venezie le registrazioni parrocchiali sono ancora l'unica fonte anagrafica disponibile per il periodo che va dal 1870 al 1924. Gli atti parrocchiali hanno quindi immediata efficacia giuridica (completi delle necessarie autenticazioni da parte della Cancelleria Diocesana) se anteriori a quanto disposto dal Regio Decreto del 15 novembre 1865, n. 2062, sull'ordinamento dello Stato Civile dei Comuni.
Gli Archivi Diocesani conservano documentazione altrettanto importante per la ricostruzione delle storie locali. Particolarmente interessanti sono i documenti sulle visite pastorali compiute dal Vescovo almeno ogni 5 anni, in cui si trovano descrizioni degli arredi e del patrimonio parrocchiale, informazioni sulle cappellanie e sulle confraternite attive nella parrocchia, l'elenco dei "benefici" parrocchiali, dei lasciti alla chiesa (in beni o in messe), dello jus patronati ed altro.
Questi sono i principali Libri parrocchiali:
Libri dei defunti (Liber mortuorum): vi sono elencati i decessi, in parecchi casi con l'indicazione dell'età del defunto (annorum quinquaginta circumeirca), se è molto ricevendo tutti i sacramenti previsti della Chiesa, dove e quando è stato seppellito, eventuali suoi titoli in vita, la sua attività e, talvolta, la causa della morte (caduto da un dirupo mentre andava a caccia, caduto da un castagno mentre stava bacchiando l'albero, morto annegato nel fiume, barbaramente ucciso dai soldati francesi, ecc.). Per i defunti all'estero ci sono spesso le registrazioni nei libri dei morti del villaggio, ma solo quando i parenti facevano fare le esequie in loco (pagando) oppure quando la notizia giungeva al parroco per iscritto. In moltissimi altri casi i morti all'estero non figurano menzionati nel Liber mortuorum.
Elenco dei cresimati (Nomina confirmatorum): quando il Vescovo veniva per la visita pastorale (magari a 25 anni di distanza dalla precedente) venivano cresimati tutti quelli che non lo furono prima. E qui si trovano dei cresimati che vanno dall'età di un anno fino ai 70 anni. Queste Nomina confirmatorum ci servono per riassumere quanti erano ancora in vita dei battezzati, poiché spesso i neonati morti duranti il parto o qualche giorno dopo non venivano registrati oppure lo furono in modo non chiaramente intelligibile (a dipendenza del prete o frate che fece l'iscrizione).
Gli stati delle anime (Stalus animarum): era questo un censimento fatto dai parroci in determinate occasioni, magari in coincidenza con la visita pastorale, in cui si indica- vano tutti i fedeli del villaggio, a famiglia per famiglia, con la loro età. Erano menzionati quanti erano stati ammessi al sacramento dell'Eucaristia, quanti a quello della Cresima, ecc. Era una statistica a scopo religioso che oggi ci serve anche come documento demografico. In molti comuni ce ne sono parecchi di questi "Status animarum", in altri nessuno.
I registri precedentemente citati devono essere la base di partenza che sarà completata da altri manoscritti di archivio. Negli archivi pubblici, ma specialmente in quelli parrocchiali, sono conservati moltissimi testamenti. Ciò è cosa molto importante per la ricostruzione. Lo stesso dicasi per gli archivi privati. Nel libri mastri familiari e nei quinternetti si trovano non solo notizie sul dare e sull'avere di ogni capofamiglia, bensì anche notizie familiari. Il capofamiglia scriveva i suoi crediti e i suoi debiti in questi libri, ma poi in qualche pagina annotava anche gli avvenimenti importanti della famiglia: le nascite, i matrimoni, i decessi, con parecchi dettagli. Nel grande mosaico delle fonti archivistiche si possono reperire e completare le notizie raccolte nei documenti citati precedentemente.
Norme sugli archivi ecclesiastici: La conservazione dei documenti di importanza vitale per la parrocchia ha inizio già dal Medioevo, ma è soprattutto con la costituzione apostolica Maxima vigilantia, emanata da papa Benedetto XIII nel 1727, che viene sancito l'interesse e la cura per gli archivi ecclesiastici, compresa la custodia dei libri dei battezzati, dei confermati (cresimati), dei matrimoni, dei morti, gli status animarum e il registro delle riscossioni delle decime annuali. Il Nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983 da Giovanni Paolo II, prevede esplicitamente l'esistenza di un "Archivio Storico" in ciascuna Diocesi e fornisce disposizioni per la cura, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio documentario: tuttavia non tutti gli archivi diocesani hanno la possibilità di ospitare gli archivi parrocchiali, che spesso sono ancora conservati presso le singole parrocchie. Attualmente: gli archivi ecclesiastici sono archivi privati, "speciali" in quanto sottoposti ad un regime concordatario con l'amministrazione statale italiana, ma non assimilabili assolutamente agli archivi degli enti pubblici o statali (archivi di stato, archivi dei comuni, ecc.).
Fare ricerche negli archivi parrocchiali Tutte le precauzioni sulla precisione e sull'esattezza dei dati di partenza - valide per le ricerche in qualsiasi archivio - sono accentuate dalla difficoltà per il personale della Curia (e ancora di più per il singolo parroco) di fornire supporto alle ricerche.
La ricerca in archivio "per conto terzi" si configura come un'attività straordinaria e spesso proibitiva: bisogna quindi assicurarsi non solo che l'archivio parrocchiale sia ancora esistente, ma che sia consultabile, e tenere conto e rispettare la disponibilità fornita dal parroco o dai responsabili dell'archivio diocesano.
Consigli pratici La maggior parte dei documenti ecclesiastici - almeno fino alla metà del 1800 - sono redatti in latino, sulla base di un formulario abbastanza consolidato, e con il ricorso frequente ad abbreviazioni di tipo paleografico, che possono essere sciolte con un po' di pazienza e tramite il confronto tra i diversi atti.
L'Associazione Archivistica Ecclesiastica sta da tempo portando avanti la "Guida degli Archivi Diocesani d'Italia", strumento molto utile per individuare la Diocesi di competenza della propria parrocchia ed avere un primo riscontro sull'esistenza della documentazione necessaria.
E' sempre opportuno avvisare la Curia Diocesana della necessità di consultazione degli archivi parrocchiali, richiedendo - quando possibile - un nulla osta alla ricerca presso il Vicariato Generale.
Per la presentazione di atti ecclesiastici come documentazione ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana gli atti devono essere autenticati dal parroco, dal Cancelliere Diocesano, e - in alcuni casi - dalla Procura della Repubblica del capoluogo di Provincia.
Un grande lavoro di raccolta di dati anagrafici - per la maggior parte desunti da archivi parrocchiali, è stato fatto dagli appartenenti alla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni.


Oltre al nominati registri anagrafici parrocchiali rivestono particolare importanza i seguenti manoscritti:
-Verbali comunali, che prima erano i verbali della pubblica Vicinanza, ossia dell'assemblea dei Vicini.
-I registri delle taglie, cioè delle imposte dirette di un comune;
-I testamenti e gli arbitrati , conservati specialmente negli archivi parrocchiali;
-I protocolli delle imbreviature dei pubblici notai (rogiti notarili), dove in ogni strumento rogato dal notalo, per esigenza giuridica stessa dell'atto, sono dettagliatamente nomi- nate le persone coinvolte;
-I registri delle Confraternite, che nei secoli scorsi avevano anche uno spiccato scopo sociale e fungevano da banche locali (quindi con l'indicazione di tutti coloro che facevano dei legati e di coloro che ricevevano prestiti in denaro);
-I pubblici contratti ( vendita di boschi da tagliare da parte di un comune e successiva ripartizione del ricavato tra i fuochi vicini, pubblico reclutamento di soldati, appalto di costruzioni nel comune, ecc.);
-I processi civili e penali, in particolare i processi per stregoneria, dove si trovano anche lunghissimi elenchi di indiziati di eresia segreta, cioè di stregoneria;
-I registri agricoli, con il bestiame caricato sulle alpi e con i relativi proprietari, con i pegni (multe) pagate per trasgressioni agricole;
- Le mappe catastali e gli estimi; Le divisioni ereditarie;

Anagrafe dei Comuni italiani
L'Anagrafe della popolazione residente si configura come un "registro" che documenta la posizione dei cittadini residenti, siano essi italiani o stranieri, e ne rileva i movimenti. L'Anagrafe, inoltre, tiene conto di tutti i mutamenti che si verificano nel Comune per cause naturali o civili, cioè per nascita, matrimonio, morte, emigrazione, immigrazione I cittadini italiani debbono da sempre essere iscritti nell’anagrafe di un Comune italiano, con l’obbligo di comunicare al proprio Comune tutte le variazioni dei dati anagrafici (stato civile, cittadinanza, indirizzo, composizione della famiglia, residenza). Le schede relative alle famiglie - i cosiddetti "cartellini" - consentono di elaborare facilmente un documento chiamato Stato di famiglia Storico (o originario), che presenta lo specchietto dei vari componenti un nucleo familiare, riportando le relative indicazioni su data e luogo di nascita, di matrimonio, di morte. In genere i registri dei comuni sono corredati da indici alfabetici annuali o decennali per ogni tipologia di atto. In caso contrario può non essere semplice per il comune rintracciare un singolo nominativo, soprattutto quando le richieste si riferiscono ad un arco cronologico e non ad una data precisa. Prima dell'unità d'Italia le Anagrafi esistevano nelle più importanti città degli Stati in cui era divisa la nostra penisola e nel Regno d'Italia l'Anagrafe fu istituita, anche se a carattere facoltativo, con Regio Decreto 31 dicembre 1864, n. 2106; successivamente venne resa obbligatoria con legge 20 giugno 1871, n. 297. I dati anagrafici sono pubblici, ma solo attraverso l'emissione di certificati; infatti, non è consentito consultare i registri d'Anagrafe.
I certificati di nascita, matrimonio e morte di regola conservati presso gli Uffici di Stato Civile dei comuni italiani a partire dal 1866, cioè dopo l'emanazione del Regio Decreto 15 novembre 1865, n. 2062 sull'ordinamento dello Stato Civile e sono regolamentati dal Regio Decreto 9 luglio 1939, n.1238.

Archivi storici dei Comuni
L'Archivio Storico del Comune conserva tutti i documenti prodotti e ricevuti dall'amministrazione locale dalle sue origini (che spesso risalgono all'età medievale) e materiale documentario di altro genere, ad esempio archivi di famiglia o di personaggi legati alle vicende del comune, archivi di enti ospedalieri, di congregazioni di carità, di enti comunali di assistenza, di uffici di conciliazione, ecc.. L'utilità degli archivi storici comunali per le ricerche genealogiche o connesse con le pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana è legata alla presenza di fondi di tipo anagrafico (stato civile, anagrafe, censimenti e ruoli della popolazione) o di tipo militare (Liste di estrazione, liste di leva, ruoli matricolari).
Non tutti i Comuni italiani hanno costituito un proprio Archivio Storico, anzi, la maggior parte dei Comuni conserva tutto il materiale ancora presso l'Archivio di Stato Civile del Comune. Tuttavia l'esistenza di un Archivio Storico nel comune che interessa, agevola le condizioni di ricerca, poichè offre la struttura di ricezione, di ricerca e di consultazione tipica di un archivio storico e vengono superati i limiti imposti dall'ordinamento degli uffici comunali (che sono pubblici, ma non "aperti al pubblico").

Gli Archivi di Stato sono istituti presenti generalmente nei capoluoghi di provincia, con alcune sedi anche in comuni medio-piccoli. Conservano la documentazione degli stati pre-unitari a partire dall'Alto Medioevo, la documentazione statale prodotta dopo l'Unità d'Italia , gli archivi notarili anteriori agli ultimi cento anni e gli archivi degli enti ecclesiastici e delle corporazioni religiose soppresse.
Possono ricevere in deposito archivi di enti pubblici e archivi privati (di famiglie, di persone, di imprese, di istituzioni) e dipendono direttamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (vedi il sito del Sistema Archivistico Nazionale).
La mole di documenti conservata negli archivi di Stato è enorme, a volte persino difficile da quantificare: raramente però gli Archivi di Stato conservano materiale immediatamente pertinente alle ricerche di tipo genealogico-familiare. Quindi - prima di 'immergersi' in una ricerca che può rivelarsi molto faticosa se non inutile - è meglio verificare sulla Guida Generale agli Archivi di Stato o sui singoli siti degli Archivi, l'esistenza di fondi archivistici interessanti per la ricerca, verificando l'argomento, l'arco cronologico, territorio interessato, eventuali lacune della documentazione, ecc. Bisogna tenere conto che in genere i fondi conservati presso gli archivi di stato sono molto ampi, e che quindi le ricerche - se non sono facilitate da strumenti informatici - possono essere molto complesse ed articolate: se la ricerca non può seguire scorciatoie informatiche o non è corredata da informazioni molto precise, difficilmente può essere svolta dal personale dell'Archivio. E' quindi necessario presentarsi all'archivio con il maggior numero di informazioni possibili riguardo all'argomento della ricerca, poichè difficilmente l'Archivio potrà dare seguito a ricerche generiche o con dati incerti.


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