SANTA MARIA DI CASTELLO, LA CHIESA DEI GIUSTINIANI - GENOVA

CHIESA SANTA MARIA DI CASTELLO - GENOVA
LA CHIESA DEI GIUSTINIANI
Salita Santa Maria di Castello, 15

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La Chiesa di Santa Maria di Castello, un patrimonio stratificato nei secoli (video tratto dal sito Arte di Rai cultura)

La Complesso di Santa Maria di Castello

Il complesso conventuale di Santa Maria di Castello, a ridosso della zona portuale del Molo, occupa la sommità di un’area collinare di antichissimo insediamento: la presenza stratificata di fortificazioni preromane, romane e bizantine, fino all’edificazione, fra i secoli IX e X, del palazzo vescovile, connotò quest’area come sede del potere militare e religioso.
Le origini del Santuario di Santa Maria del Castello si perdono in tempi lontani, tra leggenda e storia. La tradizione narra che nel 1090 il conte Ruggero, fratello di Roberto il Guiscardo, volendo tenere a freno i tentativi di ribellione degli abitanti castrovillaresi, già insorti nel 1073 con Guglielmo Arenga, decise di erigere un castello sulla sommità del colle dell’antica città. I muri costruiti di giorno crollavano misteriosamente nel corso della notte, per cui Ruggero decise di far scavare più in profondità tutto il terreno circostante. Durante i lavori, si rinvenne un pezzo di muro sul quale era affrescata l’immagine della Vergine con il Bambino, che reca ancora i segni del piccone che la scalfì. Si gridò al miracolo e Ruggero fu costretto ad accontentare il desiderio del popolo di costruire sul luogo una chiesa nota, appunto, come Madonna del Castello. Questo racconto fu inciso su una lapide marmorea settecentesca posta in cornu epistolae dell’altare dove si trova la sacra immagine. Alla leggenda si ispira anche un affresco, piuttosto danneggiato, con la Madonna ed il Bambino in trono a cui piedi è inginocchiato il conte Ruggero, conservato nella cripta, racchiuso tra due monofore protogotiche di influsso normanno.
Meno leggendaria e la storia che con lo stanziamento intorno all’ XI secolo delle consorterie dei Castello e degli Embriaci, di cui resta la torre, la zona divenne residenza di importanti famiglie. La presenza in tale nucleo di un tempio, secondo la tradizione fondato nel 658 dal re longobardo Ariperto, è per la prima volta nota attraverso un documento del 1049.
È attestato che nella prima metà del XII secolo la chiesa era officiata da un collegio di canonici, di cui è nota un’intensa attività di accrescimento del nucleo immobiliare attraverso donazioni e acquisti di aree. A quest’epoca risale la costruzione della chiesa attuale, a tre navate coperte a capriate, transetto – sul cui braccio sinistro sorge la torre campanaria – e tre absidi, opera di maestranze antelamiche.
La diminuzione numerica e il lento declino imputabile all’assenteismo dei canonici, condussero alla richiesta da parte del doge Tommaso Campofregoso e delle famiglie più influenti della parrocchia a papa Eugenio IV di affidare la chiesa ai Domenicani riformati. Il papa acconsentì e il 14 giugno 1441 soppresse la collegiata, affidando la chiesa ai frati e trasferendo loro le proprietà e i redditi della collegiata stessa. Questo provocò la reazione dei canonici, che per un anno e mezzo, con il sostegno dell’arcivescovo di Genova, Giacomo Imperiale, si opposero all’arrivo dei Domenicani: la chiesa fu consegnata ai frati solo il 13 novembre 1442.
Le differenti esigenze della nuova comunità portarono alla creazione del complesso conventuale, la cui vasta area fu ricavata da acquisti e demolizioni. Grazie alla munificenza dei fratelli Emanuele e Lionello Grimaldi-Oliva furono costruiti tra il 1445 e il 1452 il secondo chiostro e la sacrestia, fu avviato il primo chiostro (completato tra il 1453 e il 1462) e realizzata la decorazione scultorea e pittorica, di cui rimane testimonianza nell’Annunciazione di Giusto di Ravensburg, firmata e datata 1451, e negli affreschi della volta del loggiato inferiore del secondo chiostro detto dell’Annunciazione. Il terzo chiostro fu eretto tra il 1492 e il 1513.
Nel primo chiostro si trovavano il refettorio, i dormitori, la cucina e l’infermeria, nel secondo la sala capitolare, la biblioteca, la loggia ad uso dei frati, la spetiaria, i parlatori.
Dalla seconda metà del XVII secolo, in coincidenza con un grave indebolimento numerico ed economico dei Domenicani, si alternarono alienazioni e trasformazioni spesso dovute alla necessità di affittare zone del convento, mentre in chiesa si continuò a provvedere alla decorazione di alcune cappelle.
Nella prima metà del XIX secolo il convento si trovava in uno stato di degrado, che si aggravò nel 1859 con l’occupazione delle truppe dell’esercito sardo-piemontese e con l’espulsione dei frati in conseguenza dell’applicazione della legge Cavour-Rattazzi che nel 1855 aveva soppresso le corporazioni religiose: in parte incamerato dallo Stato, il convento fu inserito in un programma di speculazione edilizia che si attuò nel 1870 con la sopraelevazione del primo e del terzo chiostro, trasformati in edifici ad appartamenti.
Sulla Piazza Giustiniani ne insistono due, uno al civico 6, caratterizzato soprattutto dagli interventi di Marco Aurelio Giustiniani ed un altro meno vistoso su Via dei Giustiniani al civico 11.

La chiesa

L’attuale edificio di Santa Maria di Castello è la basilica romanica a tre navate con transetto e tre absidi edificata nel primo quarto del XII secolo ad opera di maestranze antelamiche. L’aspetto primitivo della chiesa è stato in parte alterato dalle ristrutturazioni dei secoli XV e XVI.
Il prospetto, tripartito da lesene e coronato da archetti pensili, ha il suo unico elemento decorativo nel portale centrale che utilizza come architrave una cornice romana del III secolo d. C. con foglie e grifi.
Le navate, già coperte a capriate lignee, furono voltate intorno al 1468 con crociere a costoloni, di sezione semicircolare per quella centrale e di sezione quadrata per le laterali. Dieci colonne e quindici capitelli sono di reimpiego e risalgono al III secolo d. C.
Il transetto si presenta ancora con le volte originali poggiate su pilastri. Alla seconda metà del XV secolo è databile la costruzione delle cinque cappelle della navata sinistra, mentre le cinque di destra risalgono al XVI secolo. Il pavimento della chiesa fu abbassato al livello attuale alla fine del XVI secolo. Sul braccio sinistro del transetto si inserisce il campanile romanico.
Le absidi laterali hanno subito interventi tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo ed hanno perso sia all’interno che all’esterno il loro carattere primitivo. Quella centrale, ingrandita e prolungata in due riprese, è stata adattata a contenere un grande coro.
La sua copertura e la cupola, nella veduta dall’alto della torre Embriaci o dai palazzi soprastanti, danno oggi a SantaMaria di Castello un aspetto illusorio di chiesa cinquecentesca.

I Magistri Antelami

Giunti a Genova verso la fine dell’XI seolo dalla valle d’Intelvi e dalla zona comasca, furono i primi importatori in città del linguaggio architettonico romanico e si configurarono come una corporazione di costruttori e lapicidi: grazie anche a particolari privilegi, riuscirono a monopolizzare l’architettura urbanistica e a realizzare importanti monumenti, tra cui le porte cittadine e il complesso di San Giovanni di Prè. A Santa Maria di Castello è eccezionale la loro capacità di utilizzare materiale romano di reimpiego.

L’interno

Il restauro degli anni 2005-2007 ha permesso di ritrovare in controfacciata il portale romanico interno della chiesa, occultato dalla sovrapposizione del portale quattrocentesco della sacrestia opportunamente ampliato con l’aggiunta di conci ottocenteschi.
A sinistra del portale Madonna col Bambino tra i santi Domenico che presenta il beato Raimondo da Capua e Pietro Martire, attribuito a Lorenzo Fasolo (1463-ante 1518), affresco staccato proveniente dal distrutto convento di San Domenico, come la nicchia settecentesca a destra del portale che contiene il Crocifisso ligneo detto della Provvidenza, databile al XV secolo. Sopra l’affresco è collocata una chiave di volta quattrocentesca in cui è raffigurata la Risurrezione di Cristo.
Sopra le bussole settecentesche delle porte laterali sono state ricollocate due tele di Francesco Sigismondo Boccaccino (1660-1750): a sinistra il Crocifisso parla a san Pietro Martire, a destra San Pietro Martire riattacca il piede tagliato ad un giovane.
Sulla parete destra della chiesa è stato rimontato il portale quattrocentesco d’accesso alla sacrestia qui trasferito dalla controfacciata eliminando le aggiunte ottocentesche; in alto sopra il portale, la Natività, attribuita a un pittoredi ambito caravaggesco.
Sul fianco destro della chiesa si incontrano cinque cappelle.
La prima nel 1716 fu dedicata a san Pio V: all’altare la tela raffigurante il Crocifisso che si sottrae al bacio di san PioV è opera di Alessandro Gherardini (1655-1723); sul fastigio l’ovale con la Maddalena è di Giuseppe Palmieri (1677 circa -1740).
Nella seconda cappella è stato collocato il Martiriodi san Biagio di Aurelio Lomi (1556-1622). Ai piedi della seconda cappella la tomba di Giorgio Giustiniani datata 1562
La terza cappella, edificata nel 1524 e dedicata a sant’Antonino, domenicano, arcivescovo di Firenze, conserva l’originario assetto cinquecentesco. Nella volta affreschi con Dio Padre benedicente tra motivi decorativi realizzati nel terzo decennio del Cinquecento; nella parte superiore delle pareti due Scene della vita del re Davide, di impostazione più arcaica; sulla sinistra, epigrafe marmorea che ricorda la fondazione della cappella. Un rivestimento di “laggioni”, piastrelle in ceramica con motivi sivigliani, di produzione forse ligure, conclude la zona inferiore delle pareti: sulla sinistra è raffigurato san Giovanni Battista, sulla destra san Giorgio e il drago. Del pavese Pietro Francesco Sacchi (1485-1528) è la Madonna Odigitria con i santi GiovanniBattista, Antonino da Firenze e Nicola da Tolentino, firmata e datata 1526, incastonata in una carpenteria lignea di impronta toscana e sorretta da una predella dipinta dallo stesso Sacchi con il Compianto di Cristo e Santi. Il recente restauro ha restituito il brillante colorito della pala e della carpenteria prima occultato sotto uno strato di sporcizia, come pure il restauro degli apparati marmorei ha permesso di scoprirne la decorazione a vivaci colori.
La quarta cappella (sormontata dallo stemma Giustiniani in alto) è dedicata a san Pietro da Verona e ospita la pala raffigurante il Martirio del Santo, opera di Bernardo Castello, firmata e datata 1597, Ai lati della Capella gli stemmi Giustiniani "scalpellinati" durante il periodo Napoleonico e non più riconoscibili.

Nella quinta cappella è collocata l’Assunzione di Maria di Aurelio Lomi (1601).
Nel transetto destro si trova il monumento funebre di Demetrio Canevari, medico e bibliofilo, eseguito da Tommaso Orsolino (1591?-1675) tra il 1626 e il 1628.
La cappella di testa della navata destra fu rinnovata nelle attuali forme negli anni 1601-1604 e dedicata ai santi Domenico e Giacinto: sulle pareti laterali i monumenti funebri dei coniugi Benedetto Giordano e Laura Della Chiesa, opera di Battista Casella; sulla volta gli affreschi di Bernardo Castello con il Padre Eterno e due episodi della vita di san Giacinto e sull’altare la tela di Aurelio Lomi raffigurante San Giacinto riceve l’abito dell’Ordine dalle mani di san Domenico alla presenza dell’arcivescovo di Cracovia, suo zio.
La cappella maggiore ed il coro fu ampliata nelle forme attuali negli ultimi decenni del XVI secolo dalla famiglia Giustiniani negli ultimi decenni del XVI secolo, che contribuirono al rifacimento del pavimento del Presbiterio e dai due monumenti funebri di Luca Giustiniani Longo doge e la conserte Mariettina Giustiniani a sinistra e quello di suo padre Alessandro Giustiniani Longo (anch'esso doge) e della moglie Lelia de Franchi a destra. A fianco dei due sepolcri gli stalli lignei del coro, al centro l'altare maggiore e la statua dell’Assunta di Domenico Parodi, 1684.

LE SEPOLTURE GIUSTINIANI

Santa Maria di Castello fu co-cattedrale di Genova concessa in patronato ai Grimaldi poi ai Giustiniani. Dopo la fondazione dei dominicani dai Grimaldi nel 1441, le cappelle gentilizie dei Giustiniani si moltiplicarono:
• 1448, Giovanni Giustiniani, terza cappella del lato sinistro
• 1516, Pellegro Moneglia, sposo Caterina Giustiniani-Grimaldi
• 1562, Giorgio Giustiniani, seconda cappella della navata destra
• 1597, famiglia Giustiniani, quarta cappella della navata destra
La cappella dei Ragusani fu anche sostenuta dai Giustiniani, Signori di Chio (lapide).
Una quindicina di lapidi sepolcrali giacciono sul pavimento della chiesa, tra le quali il doge Paolo de Mari de Moneglia Giustiniani nella crociera. Quella che segue è la descrizione Topografica delle lapidi sepolcrali esistenti sul pavimento della chiesa di S. Maria di Castello:
1 - Iustiniani Steph. Vinc. q. Leonar. 11 - Iustiniani Laurent. q. Iacob. 30 – Iustiniani Mariolae fil. Ansaldi 39 – Iustiniano Francisco q. Pant. 45 – Iustinianus (anonimo) 46 – Monelia Stephano 56 – Iustinianus Gaspar 57 – Iustinianus Antonius 65 – Iustiniano Georgio 66 – Iustiniani Ansaldi q. Balthazar 69 – Iustiniani Hieronymi q. Fabiani 70 – Iustiniani ioannis q. Alexandri 86 – Iustiniani Io. Andreae q. Vinc. 87 – Iustiniani Ioannis q. Franc. (tra le cappelle di san Tommaso e il beato Sebastiano) - posizione non segnata nel piantina –
da verificare Inoltre: - nel pavimento del Presbiterio il deposito gentilizio dei marchesi Giustiniani Longo; - Iustiniano Io. Augustino, già nella cappella di S. Biagio.

L’altar maggiore, rifatto dopo il bombardamento di Genova del 1684, è coronato dall’Assunta, gruppo marmoreo di Anton Domenico Parodi (1644-1703).
Negli anni Settanta del XVII secolo la cappella di testa della navata sinistra fu dedicata a santa Rosa da Lima, raffigurata nella pala d’altare di Domenico Piola (1627-1703) in venerazione della Madonna col Bambino; gli affreschi della volta, che rappresentano il Battesimo di Cristo circondato da quattro cartelle con santi domenicani, databili alla fine del XVI secolo, furono pesantemente ridipinti nell’Ottocento; sotto la mensa, statua giacente del beato Giacomo da Varazze, le cui reliquie furono conservate qui per circa un secolo.
In un altare in marmi policromi della prima metà del Seicento posto nel transetto sinistro è incastonata la tela di Gio. Benedetto Castiglione detto il Grechetto (1609-1664) raffigurante il Miracolo di Soriano: nel 1530 in questa località calabrese, dove era stato da poco fondato un convento, la Madonna e le sante Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria sarebbero apparse nel 1530 ad un converso domenicano consegnandogli un’immagine di san Domenico, di cui il nuovo convento era ancora privo. In alto sulla parete sinistra, la grande tela dipinta per la controfacciata da Francesco Sigismondo Boccaccino (1660-1750) raffigurante il Miracolo dei pani.
Nella zona di accesso alla cappella del Crocifisso sono collocati i monumenti funebri di due domenicani arcivescovi di Genova, entrambi sepolti a Santa Maria di Castello: a sinistra il monumento funebre dell’arcivescovo: quello di Giulio Vincenzo Gentile scolpito da Filippo Parodi (1630-1702), a destra quello di Nicolò Maria De Franchi opera di Pasquale Bocciardo (1705 circa – 1790 / 1791); sull’arco di accesso alla cappella la Pietà, affresco di Gregorio De Ferrari (1647-1726). Sull’altare della cappella, copia nell’aspetto assunto in epoca barocca del Cristo Moro venerato crocifisso ligneo medievale attualmente collocato presso il nuovo altar maggiore (realizzato nel 1985 su progetto di Cesare Fera). Ottocenteschi gli affreschi di Antonio Varni (1840-1908), i rivestimenti in marmo e maiolica, i medaglioni della ViaCrucis e i quattro monumenti funebri di personaggi della famiglia Brignole e Brignole-Sale. L’altare e il tabernacolo marmorei sono stati eseguiti negli anni Sessanta del XX secolo su disegno di Cesare Fera.
A differenza di quanto è avvenuto nella navata destra, in cui a causa della presenza del chiostro gli altari sono stati addossati al muro, la parete della navata sinistra è stata sfondata nella seconda metà del XV secolo per la costruzione di cinque cappelle.
La quinta cappella è dedicata alla Madonna del Rosario: la statua lignea nella nicchia sopra l’altare è attribuibile a Pasquale Navone (1746-1791); la decorazione a stucco, gli affreschi di Giacomo Ulisse Borzino e i medaglioni attorno agli archi con i misteri del Rosario di Marco Cesare Danielli sono degli anni 1843-1845. Sulle pareti laterali due medaglioni affrescati con la Presentazione di Gesù al tempio e La disputa di Gesù con i dottori sono opera di Giovan Battista Carlone (1603-post 1676). Le quattro tele raffigurano a destra lo Sposalizio della Vergine di Domenico Piola e la Natività di Maria di ignoto genovese (Giovanni Battista Baiardo?), a sinistra la Fuga in Egitto e la Presentazione di Maria al tempio, entrambi attribuiti a Luciano Borzone (1590-1645).
Nel 1797 la quarta cappella fu dedicata al beato Sebastano Maggi da Brescia, domenicano morto nel 1497 in fama di santità nel convento di Santa Maria di Castello: la tela di Francesco Zignago raffigura infatti l’arrivo del Beato davanti alla chiesa. Nel terzo centenario della morte del Beato stesso sotto la mensa dell’altare furono traslate le sue spoglie mortali.
Gli affreschi delle lunette laterali e della volta, raffiguranti episodi della devozione al Beato, sono attribuiti a Gio. BattistaCorradi (XIX secolo). Le quattro tavole dipinte su ardesia raffiguranti la Visitazione, l’Adorazione dei pastori, la Presentazione al tempio e la Disputa di Gesù con i dottori sono di Andrea Semino (1525?-1594).
Nella terza cappella è collocata la tela di Domenico Piola (1627-1703) raffigurante San Tommaso d’Aquino in adorazione del Santissimo Sacramento compone l’ufficio del Corpus Domini. Sulla sinistra, sotto il baldacchino marmoreo quattrocentesco è collocato il polittico dell’Annunciazione eseguito entro il 1469 da Giovanni Mazone (notizie dal 1453, morto fra il 1510 e il 1512): incastonato in una carpenteria lignea indorata, è composto dalla tavola centrale circondata da due scomparti, con i santi Giacomo e Giovanni Battista l’uno, con i santi Domenico e Sebastiano l’altro, da un registro superiore con il Calvario tra i santi Giovanni Evangelista e Rocco e da una predella in cui sono rappresentati lo Sposalizio della Vergine e la Visitazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto e la Presentazione di Gesù al tempio. Subito entrando in questa cappella a sinistra l'iscrizione lapidea di Giovanni Giustiniani del 1448 che inaugura la cappella.
La seconda cappella è dedicata a san Vincenzo Ferrer. La pala d’altare di Giovanni Battista Paggi (1554-1627) raffigura la Guarigione di san Vincenzo; a destra Predica di san Vincenzo fanciullo attribuito a Luciano Borzone(1590-1645) e a sinistra La regina d’Aragona assiste all’estasi di san Vincenzo di Andrea Ansaldo (1584-1638), che ha dipinto anche gli affreschi delle lunette; la decorazione della cupola e delle le vele è di Giovanni Carlone (1584-1630).
La prima cappella è dedicata a santa Caterina da Siena e fu adibita a battistero nel 1874 utilizzando un sarcofago databile tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d. C. Del “Maestro degli occhi bassi” è lo scomparto centrale del polittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria e santa Caterina da Siena tra i santi Stefano, Lorenzo, Domenico e Pietro Martire (1480 circa), per le restanti parti opera di altri due pittori. Gli affreschi con storie di santa Caterina rivelano rapporti con la prima attività di Nicolò Corso (1446-1513) e sono databili tra il 1474 e la metà degli anni Ottanta del XV secolo.

La sacrestia

Tra la cappella dei santi Domenico e Giacinto e il monumento a Demetrio Canevari si apre il passaggio alla sacrestia: vi si accede attraverso un piccolo atrio con la volta decorata dai simboli degli Evangelisti, eseguiti da un pittore ligure tra il 1450 e il 1452.
Varcato il portale, realizzato nel 1452 da Leonardo Riccomanno (1431-1472) su progetto di Giovanni Gagini, si accede al grande vano che si presenta nella sistemazione settecentesca con l’arredo in noce completato nel 1738 da Stefano Porcile: la pala d’altare con San Sebastiano è di Giuseppe Palmieri (1677 circa - 1740), cui si deve anche il dipinto con la Predica di san Vincenzo. Accanto al portale d’ingresso è collocato un gruppo scultoreo in legno policromo raffigurante la Madonna della città venerata da san Bernardo, di metà Settecento proveniente dal distrutto oratorio dedicato al Santo.

Il museo

L’idea di costruire un museo a Santa Maria di Castello nasce dall’esigenza di esporre molte opere che, in seguito alle trasformazioni della chiesa e del convento, erano rimaste senza una precisa collocazione o non erano visibili al pubblico. Un primo museo fu realizzato da Gianvittorio Castelnovi nel 1959.
Nel gennaio 2001 sono state inaugurate 12 nuove sale che raccolgono in 400 mq. gli arredi e le diverse collezioni provenienti non solo da Santa Maria di Castello, ma anche da altri conventi e monasteri domenicani.
L’allestimento di questo percorso museale persegue il duplice scopo di migliorare la conservazione dei materiali storico-artistici fino ad allora conservati nei depositi e di offrire una nuova fruizione di detti materiali da parte del pubblico genovese, nazionale e internazionale.
L’allestimento e i nuovi restauri sono stati concepiti seguendo il tono sobrio del convento, per dare all’esposizione un ritmo proprio, capace di intrecciarsi con quello profondo dei percorsi conventuali. Viene utilizzato un criterio ostensivo essenziale e paragonabile quasi ad una classificazione scientifica di oggetti per classi omogenee. Gli apparati espositivi progettati lasciano confrontare le diverse tipologie allo scopo di far risaltare la specificità degli oggetti.
Nel retrocoro si trovano i paramenti sacri del XVII-XVIII secolo; nello spazio già occupato dalla cappella di San Biagio, di patronato dei mercanti di Ragusa, sono collocati i reperti più antichi ritrovati nell’area di Santa Maria di Castello dal II al X secolo e nella sala superiore alcune pale d’altare provenienti dalla chiesa (pala di Ognissanti o Paradiso di Ludovico Brea, datata 1513, e polittico della Conversione di san Paolo, di scuola del Brea) e alcune opere scultoree, tra cui la Madonna col Bambino di Domenico Gagini in marmo dipinto (XVsecolo), e l’Immacolata di Anton Maria Maragliano in legno dipinto (XVIII secolo).
Una piccola sala ospita una collezione di icone russe del XIX e XX secolo donata da fra Enrico di Rovasenda; in altre due sale è conservata la collezione di ex voto legati alla venerata immagine del Cristo Moro di Santa Maria di Castello, molti dei quali risalenti al XVI secolo.
Nel refettorio sono collocati alcuni affreschi strappati dalla hciesa e dal convento e il Crocifisso già collocato sul pontile, attribuito ad Antonio Brea e datato agli ultimi anni del XV secolo.
Quattro sale al piano superiore sono dedicate a oggetti d’uso e arredi provenienti soprattutto dal monastero dei Santi Giacomo e Filippo: notevoli la raccolta di reliquiari e gli argenti. Interessante la ricostruzione a fini didattici della cella di una monaca.
Nel loggiato superiore e nell’adiacente cappella Grimaldi hanno trovato collocazione i marmi quattrocenteschi non più ricollocabili nelle sedi originarie.

Oggi la chiesa è visitabile grazie ai tour guidati condotti dall’Associazione Culturale Santa Maria di Castello che permettono a tutti gli amanti dell’arte ligure e non solo di addentrarsi all’interno di un sito culturale unico per importanza storica e per bellezza artistica.

Bibliografia

Se volete dormire con una splendida vista sul Chiostro di Santa Maria di Castello: Al Chiostro Guest House  Via di Santa Maria di Castello 29-33 (per prenotare direttamente 010/8938374).


I GIUSTINIANI DI GENOVA
tratto da I Giustiniani di Genova

stemma giustinianiPur se antiche tradizioni, non suffragate da prova storica, farebbero risalire i Giustiniani alla gens Anicia romana, è solo una leggenda, ancorché accolta da tutti i cronisti e storiografi che si occuparono di questa famiglia, quella che vede i due casati Giustiniani di Genova e di Venezia discendere dai figli di Giustino II, nipoti di Giustiniano imperatore Romano d’oriente, Marco e Angelo vissuti verso il 720 d.C. Curioso anche il fatto che, allora come oggi, i Giustiniani di Genova e di Venezia si sentissero in un certo modo consanguinei, nonostante le due Serenissime Repubbliche nel corso della storia fossero più nemiche che amiche.
Molte comunque sono le presenze della famiglia Giustiniani individuate in diverse località dell’area mediterranea fin dall’anno mille.
In effetti i Giustiniani di Genova più che da antiche discendenze, “nascono” a Genova il 27 febbraio 1347, come “nome” di una società: la “Maona”, la prima società per azioni documentata nella storia, sorta per lo sfruttamento, per conto della Repubblica Genovese, dell’Isola di Chios nell'Egeo nord orientale, patria di Omero e ricca di un albero, il lentisco, che solo qui, produce una sostanza resinosa: il mastice, fonte all'epoca d'enorme ricchezza. Ben presto i “Maonesi”, appartenenti a famiglie già in vista nella Genova di allora, assunsero tutti il nome di Giustiniani perdendo il proprio. Pur continuando a mantenere un saldo legame con la madrepatria e ricevere prestigiosi incarichi di governo, i Giustiniani mantennero il dominio di Chios fino al 1566, alla conquista da parte degli Ottomani, diventando una sorta di Sovrani dell’isola, pur mantenendo il loro status di "Nobilis Civis Januae", nobili “cittadini” Genovesi. Il popolo di Chios infatti chiamava i Giustiniani con i titoli di Signori, Principi, Sovrani; i documenti e gli scrittori li appellano come “Dynastae” alla greca.
La casata dei Giustiniani fu “albergo”, un’istituzione privata ma riconosciuta dagli statuti genovesi, sino alla riforma del 1528 e influenzerà non solo la vita politica ma anche l’urbanistica cittadina, poiché gli alberghi impongono la contiguità dell’abitazione ai propri aderenti che abitano case distribuite attorno a piazze private e talvolta munite di una propria chiesa. La pratica dell’endogamia, cioè l’uso di contrarre matrimoni all’interno dell’albergo, contribuisce a formare, di generazione in generazione, inoltre, un’unica famiglia dove tutti sono consanguinei e tutti si sentono parenti. I Giustiniani, avevano fatte proprie tutte le prerogative della nobiltà genovese. Erano qualificati come mercanti, dove il termine identificava i banchieri e i protagonisti dei grandi traffici internazionali che spesso godono fuori dal dominio genovese di vere e proprie signorie feudali. I Giustiniani si imparentavano abitualmente con stirpi signorili liguri e italiane e vi appartenevano giureconsulti, medici, cavalieri, alti prelati e uomini di cultura.
Nel panorama politico genovese l’albergo Giustiniani si mantiene quasi sempre neutrale e difficilmente prende parte evidente ai frequenti scontri tra le diverse fazioni nel corso dei secoli. Con la costituzione della Repubblica aristocratica Genovese, instaurata da Andrea Doria nel 1528, il ruolo e lo status dei Giustiniani trovano pieno riconoscimento.
Negli oltre duecentocinquant’anni di vita della Repubblica, i Giustiniani diedero cinque dogi, innumerevoli senatori e altri magistrati di governo.
La caduta di Chios nel 1566 e il martirio dei giovani della famiglia, che rifiutando di abiurare la fede cristiana, saranno a lungo additati ad esempio dalle potenze occidentali impegnate nella lotta contro l’Islam, non impedisce ai Giustiniani di reagire mantenendo potere e prestigio in patria e nelle altre sedi di nuova residenza, prime fra tutte Roma e la Sicilia. Benchè privi delle antiche prerogative signorili, hanno ancora una distinzione sociale indiscussa ed era prassi per tutti trascorrere un periodo a Genova, probabilmente per curare i propri interessi sulle rendite del Banco di San Giorgio che tutti gli alberghi avevano e che costituiscono un elemento di continuità per le generazioni.
Dalle testimonianze emerge un vero attaccamento di tutti i Giustiniani a Genova sia per quelli che vi risiedono, sia per quelli che hanno fatto fortuna altrove e il senso di appartenenza al clan è sempre fortissimo e ciò è dimostrato dalla perdurante prassi delle nozze endogamiche anche dopo il XVII secolo. E’ certamente complesso descrivere le peculiarità dei vari rami Giustiniani che si sono susseguiti nei secoli, tutti uniti da comuni interessi e dalla partecipazione alla Maona, ma nello stesso tempo con elementi propri, come la vocazione militare di alcuni o quella diplomatica di altri; difficile anche ricostruire le biografie degli innumerevoli personaggi di spicco che portarono il nome dei Giustiniani alla notorietà in ogni campo. Non possiamo comunque non citare i fratelli Benedetto, cardinale e Vincenzo. banchiere, già proprietari nel XVI secolo del palazzo che a Roma porta ancora il nome della famiglia, ora sede del Senato che a buon diritto si possono considerarsi i primi grandi collezionisti di opere d’arte della storia. La loro collezione, dispersa dalla fine del '700, vantava solo in opere d'arte “1.867 sculture e 820 dipinti tra cui quindici Caravaggio”, opere di cui nessun “viaggiatore” dell’epoca di transito a Roma ometteva la visita. Curiosa la vicenda giudiziaria del testamento di Vincenzo Giustiniani del 1631, che lasciò parte dei suoi beni a tutti i discendenti Giustiniani, maschi e femmine, che avessero potuto vantare una parentela con quelli di Chios, anche se non direttamente con lui. L'interminabile battaglia giudiziaria finì solo nel 1958, con l’accertamento di ben 288 aventi diritto.
Per concludere ricordiamo l’incisiva descrizione della famiglia fatta dallo storico Agostino Della Cella che nel 1782, celebrandone la storia, ricorda: «Altresì in Roma luminosa risplende la Giustiniana famiglia al presente nei signori Principi di Bassano Giustiniani genovesi, i quali continuando verace affezione alla Patria seguitano a voler l’ascrizione fra la genovese nobiltà. In altre parti d’Italia, poi, nella Spagna, Francia e Fiandra han continuato per più tempo e forte tutt’ora continuano altri rami di cotesta nobilissima famiglia, con cariche illustri e decorati di titoli e signorie pregiatissime... al presente di vita in più rami riluce in Genova la Giustiniana famiglia corredata anche in comune di redditi e dispense considerabili et in particolare di copiose ricchezze, ornata di titoli, feudi, signorie».


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Il sito dei Giustiniani di Genova