BARTOLOMEO DA CHIO
Il greco genovese che portò la stampa nelle Marche

Nelle Marche l’attività tipografica ha un’origine molto antica, tra le prime in Europa. L’invenzione del Gutenberg infatti approdò in questa regione già nel 1473 in due centri: a Jesi, la città di Federico II, grazie all’opera di Federico de’ Conti, e a Matelica, grazie all’opera dell’abate commendatario Bartolomeo de Columnis (o Colonna) da Chio.

Ma chi era questo ecclesiastico nato in un’isola greca, al quale la città oggi nota come patria del fondatore dell’Eni Enrico Mattei, deve così tanto?

A dire il vero, fino alla scoperta fatta a fine anni ’30 dal prof. Marcello Boldrini alla Biblioteca Ambrosiana di Milano dell’incunabolo dal Colonna stampato della Vita della Madonna di Antonio Cornazzano, non sapevamo pressoché niente e nessuno aveva fatto caso a questo nome negli elenchi degli abati dell’antica abbazia di Santa Maria de Rotis. Nell’ultimo ventennio poi questa figura ha cominciato ad essere sempre più esplorata e conosciuta e gli è stata perfino tributata una piazzetta, che ne porta il nome, nel piccolo abitato di Braccano, frazione di Matelica a due passi dall’antico monastero del quale fu abate e dove visse.

Di lui sappiamo che era figlio di Pietro, nacque e fu battezzato intorno al 1416 con il nome di Nicola Bartolomeo de Columnis o Columna, famiglia originaria di Genova, ma residente nell’isola greca di Chio. Il luogo di per sé ci ha fornito molti dettagli importanti, non ultimo il fatto, che sull’isola, al tempo della sua gioventù vi  soggiornarono personaggi illustri come Guarino Veronese e Andreolo Giustiniani, all’epoca in contatto stretto con altri illustri umanisti italiani, come lo stesso Ciriaco d’Ancona. Fatto sta, che prima di sbarcare nella Marca Anconitana in fuga dall’invasore turco, il nostro Bartolomeo, si formò in cultura bizantina e raccolse numerose opere classiche greche, tra cui i primi undici canti dell’Iliade, i commenti di Proclo a Platone e di Michele Efesino ad Aristotele, l'Isagoge di Porfirio, un lessico greco-latino e latino-greco ed una grammatica di Manuele Moscopulo. Si trattano di dettagli non da poco in una vicenda avventurosa come quella che visse e della quale abbiamo testimonianza nel codice Rossiano 703 alla biblioteca Apostolica Vaticana.

Il 7 agosto 1454 pare si sia imbarcato per approdare il successivo 12 agosto nell’isola di Creta, dove forse arrivò lasciando per sempre la sua terra d’origine. Successivamente arrivò in Italia, dimorando probabilmente nella città di Ancona, porto da sempre in contatto con la Grecia e dove deve aver intrattenuto contatti importanti con altri umanisti italiani 1.

Celebre copista, non sappiamo se Bartolomeo si recasse provvisoriamente anche a Roma, ma sicuramente intrattenne rapporti stretti con i cardinali Bessarione e Alessandro Oliva (originario di Sassoferrato, sempre nelle Marche), mecenati protettori delle lettere classiche e dei fuggiaschi greci. Proprio l’Oliva, cardinale di Santa Susanna e che era legato a Matelica perché qui aveva condotto i primi studi nella locale schola grammaticae (probabilmente nata e gestita dai suoi confratelli dell’Ordine degli Eremitani Agostiniani), probabilmente lo fece conoscere ai signori della città Antonio e Alessandro Ottoni, che lo raccomandarono in qualità di patroni dell’antica abbazia benedettina matelicese, finita in commenda, per farne l’abate. Presentato studioso di lettere greche e latine, il nuovo abate, prese immediatamente possesso della commenda che gli dovette risolvere i suoi problemi materiali e permettergli una vita abbastanza tranquilla da dedicare agli studi e non solo 2.

Apprezzato dagli Ottoni in quel periodo assunse un certo potere, certamente non solo di natura ecclesiastica, partecipando come era di norma alla nomina ad esempio del pievano (7 ottobre 1469), ma anche alla realizzazione di nuove opere architettoniche come il monumentale campanile della chiesa di Santa Maria della piazza tra il 1474 ed il 1475 (poi divenuta collegiata e dal 1785 cattedrale della Diocesi di Fabriano e Matelica) 3. Proprio quest’edificio, a seguito della costruzione dovette assumere un aspetto vagamente simile a quello del katholikon del venerato

Nea Monì di Chio (con tanto di forma ottagonale e dedica a S. Maria Assunta, l’equivalente latino del titolo greco della Dormizione della Vergine) 4.

Talvolta in questo periodo apparve anche come teste o garante. E’ il caso del 4 agosto 1483, quando una bambina orfana di 7 anni di nome Giacomella del fu Giacomo Bustrenghe, fu inviata per 7 anni, a fare da servetta in Ancona presso la casa del nobile Silvestro di Urbano Trincheri di Genova, dietro l’impegno di riconsegnarla allo scadere del tempo con una dote di 20 fiorini. Il nobile genovese, oltre a pagare subito 3 fiorini, si impegnò con i suoi tutori (Andrea Angelelli di Matelica, Francesco di Nicoluccio di Gagliole detto Sansoverino e Stefano di Giacomo Bustrenghe di Matelica) a tenerla con decoro a casa sua fornendole vitto e alloggio, vestendo dignitosamente, curarla in caso di malattia e educandola e correggendola qualora ve ne fosse stata esigenza. La presenza dell’abate in questo caso non era casuale, dato che il nobile Silvestro aveva sposato Battistina, nipote dell’abate commendatario. Spesso Silvestro pare che si spostasse da Ancona a Matelica e proprio in uno di questi viaggi si ammalò, tanto che, sempre in presenza di Bartolomeo Colonna, il 1 ottobre 1489 fece testamento, chiedendo di essere sepolto nella chiesa di San Francesco (forse in quella maggiore di Ancona), a fianco alla tomba del padre 5.

In questo periodo inoltre si svolse la famosa impresa della stampa della “Vita della Madonna” di Antonio Cornazzano, oggi esistente in un unico esemplare posseduto dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Si tratta di un libretto di 34 carte, in 40 senza segnature, stampato con un carattere romano piuttosto originale, usato per nessun’altra edizione ad oggi nota, usando probabilmente carta di Fabriano. Per quanto ne sappiamo ad un certo punto l’attività tipografica dovette essere sospesa, anche se non è ben chiaro il motivo. Si potrebbe pensare ad un fallimento dell’attività economica, oppure ad un fatto esterno come quello dell’altro cardinale di Sassoferrato, Niccolò Perotti, che dopo il 1473, polemizzando con Calderini circa le interpretazioni di Marziale nella sua celebre Cornu copiae, correggendo codici e scrivendo una lode alla stampa da poco inventata, ma criticando la scarsa cura dei testi e di quegli autori che erano stati anche eccellenti copisti (come lo era ancora il nostro Bartolomeo Colonna che nel 1475 compilò Institutiones oratoriae di Quintiliano con gli scolii del Valla (il manoscritto oggi è conservato nella Biblioteca universitaria di Leida). Il Perotti, scrivendo al suo amico Francesco Guarnieri, che fin dall’intestazione si concepiva «adversos eos qui temere corrigunt errores veterum librorum», e si proponeva perciò al papa, per il tramite del cardinale Guarnieri, di far vigilare sulla bontà dei testi da pubblicare 6.

Non sappiamo comunque neppure dove finirono i caratteri tanto originali del Colonna, anche se non è da escludere che ci siano stati altre pubblicazioni e qualcosa possa essere ancora celato in qualche biblioteca privata.

Il Colonna di fatto arricchì, diremmo oggi, la possibilità formativa di Matelica, portando lo studio delle lettere classiche greche e permettendo lo studio su testi originali dell’Isagoge di Porfirio, dei quali restano ad oggi dei frammenti scritti in greco. Inoltre, parlando e scrivendo fluentemente usando frasi composte di termini greci, latini ed italiani, il Colonna ha lasciato tracce dei progetti fatti in quest’epoca, in cui la comunità matelicese si arricchì di elementi greci o grecizzanti.

Forse non deve essere un caso neppure il fatto che si svolse durante il suo incarico (e vivente ancora il cardinale Oliva) il transito avventuroso della preziosa reliquia di Sant’Andrea Apostolo, portata sotto mentite spoglie da Tommaso Paleologo, attraverso varie tappe (probabilmente anche nella Diocesi di Camerino). Quale migliore ospite di un greco per un altro greco? Inoltre, indizio prezioso ce lo fornisce il fatto che in questo periodo apparve proprio il frammento di una reliquia di Sant’Andrea Apostolo in una chiesa del vicino centro di Santa Anatolia, oggi Esanatoglia 7.

Per comprendere meglio quale apporto culturale sia stato determinato dalla presenza di Bartolomeo Colonna nella sola Matelica, è bene ricordare che con lui ci fu un seguito di una cinquantina di persone, tutte fuggite da Chio probabilmente sull’onda del timore dell’arrivo dei turchi ottomani. Tra coloro che giunsero a Matelica anche vari parenti e sua sorella Caterina o Caterinetta (sappiamo che altri amici e parenti rimasero invece in Ancona, facendo da spola con la Grecia per affari). Proprio Caterina o Caterinetta, una volta giunta a Matelica, decise in accordo con il fratello di mettere in vendita per procura la casa di Chio «in Vico Recto», dandone incarico ad alcuni amici là residenti, ma l’affare si chiuse molti anni dopo, l’8 maggio 1489, quando da un atto sappiamo che «Catarina vedova di Marchino de’ Garibaldi da Genova, alla presenza, con il consenso e con l’autorizzazione del fratello Don Bartolomeo» rilasciò la quietanza al signor Giacomo di Don Ludovico da Chio per 291 ducati d’oro, da lui ricevuti quale procuratore di Scolumella de’ Grimaldi da Chio, che aveva venduto in loro nome l’abitazione 8.

E’ di questo periodo (1484) non solo la notizia delle visite che faceva alla suocera Caterinetta il genero Domenico di don Martino da Orvieto, abitante in Ancona e sposato con Pellegrina di Marchisotto de Gisbertis da Negroponte, ma anche l’episodio di Giorgio Coresio del fu Dimitrio, mercante di Chio, che venne a Matelica dalla suddetta Caterinetta, per ricevere la delega di vendita della sua casa in «Carroghio Dericto» e con l’occasione ad Ancona acquistò una piccola imbarcazione dotata di vela quadra («artimone»), di una vela «bonecta» e di una «mezzina». Dopo la partenza portò a Chio anche «tria milliaria olei clari et boni saporis» dell’olio di Rocchetta di Camerino, al tempo particolarmente pregiato 9.

Le vicende navali dei mercanti greci o genovesi in viaggio tra Italia e isole egee sono narrati ancora in documenti di questo periodo, conservati negli archivi locali. Uno di questi risale al 1477 e riguarda Berardino di Garibaldo Marchini da Chio, abitante in Matelica, che il 22 marzo narrò presso l’abbazia di Santa Maria de Rotis come fosse riuscito a mettere in salvo170 perle affidategli quando la nave del pirata Giovanni Gallego assalì la caravella su cui viaggiava, di fronte ad un’isola egea. Le perle, passategli di nascosto da Giacomo Repellino, servitore di Percivalle di Gentile Pallavicini da Genova e Simone di Gentile da Genova. Il giovane Berardino con scaltrezza aveva nascosto le perle nella sua calzamaglia, facendole passare per i suoi attributi sessuali! Per riconoscenza i due mercanti genovesi gli consegnarono ben 100 ducati d’oro larghi, il prezzo all’epoca di una buona casa con bottega 10.

Matelica, città di origine umbra, nota agli archeologi per il suo Globo (orologio solare completamente scritto in greco, databile al II secolo d.C., capace di calcolare, ora, giorno, mese e segno zodiacale sulla base della latitudine terrestre del luogo), doveva essere particolarmente gradita ai profughi greci al seguito di Bartolomeo Colonna. Se non altro per la presenza di culti di santi venerati anche nel mondo ortodosso, a cominciare dal patrono della città, Sant’Adriano di Nicomedia, martire cristiano del 306 d.C., il cui culto è antecedente alle Crociate.

Però, nonostante ciò, i greci apportarono ulteriori culti dalla loro terra. Quello di Sant’Isidoro potrebbe essere il primo. L’altro, come avvenne in altre zone anche limitrofe, quello alla Madonna di Costantinopoli, venerata proprio nella chiesa di Santa Maria della piazza, poi divenuta collegiata di Santa Maria Assunta. L’immagine mariana, venerata con particolare devozione fino ad un secolo fa, oggi è conservata all’interno del Museo Piersanti. L’opera è su tavola e sul retro è ricoperta da una lamina d’argento a sbalzo con un sole raggiante e una sigla che si rifà a quella adottata da San Bernardino da Siena. Era detta «oditrigia», ed i sacerdoti e studiosi matelicesi Don Sennen Bigiaretti e Don Amedeo Bricchi ricordano che in passato «aveva culto in un altare, in particolare nel mese di maggio ed era detta perciò “Madonna di Maggio”, ma anche “Madonna della Salute” e “Madonna di Costantinopoli”». A lettere gotiche in alto nella tavola è scritto: «Salve, Regina Mater Misericordiae» e per i fedeli suonava come «dell’Avvocata» (in greco Agioritissa) 11.

 

Del nostro Bartolomeo Colonna possediamo un’ultima notizia, raccolta dallo studioso alsaziano Giuseppe Antonio Vogel, che segnala come nel 1512 sia datato l’ultimo documento in cui appare il nome del vivente abate Bartolomeo da Chio. Eppure la morte deve essere avvenuta qualche anno dopo, nel 1515, quando a succedergli fu il nipote anconetano Urbano, figlio di quel Silvestro che aveva sposato sua nipote Battistina. Il Colonna doveva avere quasi il secolo di vita. Una vita lunghissima, ricca di fatti, che ancora riguardano la storia presente 12.

 Si ringrazia per il testo il dott. Matteo Parrini

 note:

1.       1 T. DE MARINIS, Appunti e ricerche bibliografiche, Milano 1940, pp. 93, 94, tavv. CLVIII, CLIX; A. CAMPANA, Chi era lo stampatore Bartolomeo de Colunnis di Chio, in Studi e ricerche sulla storia della stampa del Quattrocento, Milano 1942, pp. 1-32; P. VENEZIANI, Columnis (Colonis, Columna), Bartolomeo (Nicola Bartolomeo), in Dizionario Biografico degli Italiani, XXVII, Roma 1982.

2.       2 L. CARDELLA, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, Roma 1793, vol. III; A. CHACON, Vitæ, et res gestæ Pontificvm Romanorum et S. R. E. Cardinalivm ab initio nascentis Ecclesiæ vsque ad Vrbanvm VIII. Pont. Max, Roma 1677, vol. II, coll. 1040-1048; M. MORICI, Il cardinale Alessandro Oliva predicatore quattrocentista, Firenze 1899, pp.11-14.

3.       3 A. BRICCHI, Matelica e la sua Diocesi, Matelica 1986, pp.73-76; A. BUFALI, Fatti del ‘400 e oltre a Matelica, Matelica 2007, pp.29-30.

4.       4 M. PARRINI, La Schola Grammaticae di Matelica e i suoi allievi più illustri, in “550º Anniversario di Papa Pio II Piccolomini nella Marca 1464-2014 - Atti delle giornate di studio”, a cura di A. Antonelli e I. Colonnelli, Matelica 2016, p.176.

5.       5 A. BUFALI, op. cit., pp.56-57.

6.       6 JEAN-LOUIS CHARLET, Littérature et philologie dans les lettres philologiques de Niccolò Perotti, in Acta conventus neo-latini upsaliensis, Leida 2012, pp.285-293.

7.       7 C. MAZZALUPI, La Terra di Santa Anatolia, San Severino Marche 1996, pp.67, 115.

8.       8 A. BUFALI, op. cit., pp.29-30.

9.       9 A. BUFALI, op. cit., p.61.

10.    10 A. BUFALI, op. cit., pp.43-44.

11.    11 M.F. CONTI, Tibi dedicata. Memorie e testimonianze della Chiesa di S. Maria Cattedrale di Matelica, Matelica, Tipografia Grafostil, 2006, pp.137-148.

12.    12 Archivio Storico di Recanati,  G.A. VOGEL, Miscellanea storica di Matelica, ms. vol. III, p.12; A. BRICCHI, op. cit., p.192.


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